Ho in mente due situazioni. Nella mia scuola ho organizzato il corso “L’insegnante narratore” tenuto dall’attrice e autrice Lucilla Giagnoni. Eccoli lì 24 insegnanti seduti in cerchio. Sono di tutte le scuole dalle superiori alle elementari. Tutte donne ad eccezione di due maschi (ci sarebbe da scrivere molto su questo, ma non lo farò). Io, da organizzatrice, non partecipavo al corso, organizzavo appunto e osservavo. Eccoli in cerchio, sorridenti e attenti, pronti a intervenire, a parlare, ad ascoltare. A dire di sé agli altri, non tutti si conoscevano fra loro, anzi. Eppure eccoli lì. Un bel gruppo e Lucilla in mezzo a dire contenta “C’è vita, sentite c’è vita in queste cose”. Non diceva solo quello, ma quello mi ha colpito. Vero c’era vita in quei miei colleghi. C’è vita. Vogliono imparare a narrare, vogliono farlo per arricchire la loro professione, la più difficile e importante di tutte: insegnare.
Eccoli lì, seduti traquilli eppure attivi, pieni di vita, pieni di vita e per questo disponibili alle vite altrui. Dopo le ore di lezione, con docenti che dovevano fare anche un’ora di strada per tornare a casa.
Pieni di vita, di energia positiva. Belli, tutti belli nell’esserci, nel dire e nell’ascoltare. Bella Lucilla Giagnoni che insegna agli insegnanti e si vede che le piace, che ascolta con interesse e che è lavoro, ma anche qualcosa di più.
Direi, per ripetermi, direi che è vita.
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E la seconda situazione? Avevo immaginato la triste sorte dei morti in vita: i violenti di ogni paese.
Ne avevo anche scritto con sdegno e sarcasmo e con orrore e poi ho letto tutto a mio marito. E lui ha fatto una smorfia e mi ha detto: “Sì, ma a che serve?”. Voleva dire a che serve parlare dei fascisti, dei terroristi, dei kamikaze?
Io credo che serva, ma ho sentito in lui un bisogno di vita e di cose sensate, perché la vita è sensata, uccidere non lo è. E così per amor suo, perché anche io talvolta ho voglia solo di vita, soprattutto quando intorno infuria la pazzia della guerra (come scrisse Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in Terris), ho eliminato la parte negativa, la parte triste sui morti in vita e concludo così, con l’immagine di 24 professori che si raccontano e che vogliono diventare più bravi e della loro maestra, Lucilla Giagnoni, che a ogni storia prende forza per altre storie. Oggi prevale la voglia di bellezza e di vita, la voglia di felicità, per tutti. Sarebbe così bello.