Da circa un mese ospito a casa mia, nell’ambito del progetto nazionale Caritas “Rifugiato a casa mia” una ragazza pakistana di 24 anni che ha avuto un bimbo il 19 dicembre, bimbo nato in Italia. La ragazza ha chiesto lo status di rifugiato giacché il marito e padre del bambino, che ha vinto una borsa di studio a Milano, ha già questo status. È un rifugiato umanitario. Provengono dal Pakistan del Nord cioè al confine con l’Afganistan, zona di talebani.
Ma di loro e dell’esperienza parlerò più in là. Ora mi interessa scrivere un po’ di noi. Noi Italiani, noi Europei visti attraverso gli occhi di questa ragazza.
La prima cosa è che noi siamo vecchi.
Poi siamo pochi, cioè non facciamo figli.
Siamo ricchi perché abbiamo luce e acqua in casa.
Siamo strani perché non mangiamo (e cuciniamo) cibi freschi.
La cosa però su cui voglio soffermarmi è quella dell’età e della crisi anagrafica.
Cosa vede questa ragazza? Vede persone anziane, è ospitata da due persone per lei anziane, io potrei essere sua madre. Vede case in vendita e vuote. Sente di famiglie senza figli o con un figlio, in casi meno frequenti due figli e in casi eccezionali tre.
Si stupisce tantissimo quando dico che le mie amiche e io stessa non abbiamo figli, o anche che qualcuno non sia sposato. Si stupisce di queste famiglie così poco numerose.
Io so che loro sono troppi, che le famiglie sono troppo numerose e che dovranno anche loro fare meno figli, ma lei ancora non lo sa.
Se io guardo coi suoi occhi, cosa che non mi riesce difficile perché da tempo faccio queste riflessioni, io vedo città abitate da vecchi e vuote. Diciamo che non c’è posto ed è vero dal punto di vista del lavoro probabilmente, ma certo avremo bisogno di questi arrivi se non vogliamo che progressivamente il nostro mondo non sia che carcasse di case e sparute con persone lente e vecchie che guardano da dietro le finestre e hanno paura.
Eh già. Vedendo il mondo coi suoi occhi di giovane e cara ragazza islamica che si infervora però a parlare del Corano, che non è sfiorata da alcun dubbio, io immagino la paura di chi è più vecchio, più fragile. Di chi non ha lavoro o l’ha perduto, di chi si sente in balia di persone strane e diverse, indubbiamente dal punto di vista giuridico ancora da svezzare nell’ambito dei diritti umani. Immagino che anche il velo possa sembrare una minaccia, un tentativo di colonizzazione.
Capisco che lei è il futuro perché è giovane, perché ha vissuto cose difficili e ne ha tratto forza, e quindi percepisco al paura di chi si sente minacciato e nel suo intimo sa che nulla potrà fermare i grandi movimenti migratori, non fosse altro che per il principio dei vasi comunicanti.
So tutto questo, perché ho occhi di ragazza pakistana e di anziana italiana. A una sintesi si arriverà, chissà quanto dolorosa e cruenta. Forse a parlarsi tra donne e madri potrebbe essere più dolce.