Volevo parlare della paura dell’ISIS, delle guerre, dello straniero, della crisi… e invece ho scritto della paura all’osso, della paura, credo, essenziale, inspiegabile, la paura tipica degli attacchi di panico. Paura straniante. Che io ho passato, che ora è scivolata via, forse ritornerà. Spero di no.
Ne ho parlato in versi, non so perché.
Sento molto parlare di paura.
In questi tempi. In questi tempi io invece
non ho paura. Non ho mai avuto
paura in sintonia
con gli altri. Ho paure diverse in tempi
diversi. La mia paura deve essere
riempita di cose. La mia paura
è piena solo di paura. È tutta,
evangelicamente,
dentro di me. Io guardo guardo sempre
la mia trave. La mia trave che scoppi
ed esca da me è la mia paura.
Non ho paura della forza. Forse
un po’ ma poi mi passa. Non ho
paura di chi uccide, e fa del male,
nemmeno di chi mi ama.
O forse di chi ama un po’ ho paura.
Di me. Di me ho paura.
Paura di perdere i miei confini.
La mia pelle. Paura che le viscere,
le mie viscere in strada si spargano.
Paura di essere tutto. Indistinto.
La paura della paura è perdere
la forma. Paura non della morte
ma del dissovilmento. Dissolversi
uscire da se stessi, dispedersi
in ogni luogo e tempo.
Paura insostenibile.
Da sola ho attraversato la paura.
Sono andata dinanzi a Dio, o nei pressi,
malamente l’ho apostrofato. Ho scritto:
“Con quale sfrontatezza divina
mi dirai non avere paura?”
Ora essere tutto è la mia gioia.
Mi svuoto in allegria.
Accolgo tutto e tutti
nessuno può farmi paura. Sono
così forte che non faccio paura,
faccio ridere. Sono così forte
che sorrido e leggera mi disperdo..
E se Dio esiste, Dio ha ragione:
“Non abbiate paura”.