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Cosa serve ora ai parchi

Scritto da Renzo Moschini il 10.02.2014

Dopo una interminabile fase di vera e propria paralisi politica, istituzionale e operativa anche i parchi e le aree protette hanno ripreso a muoversi sul piano nazionale.

Lo ha riconosciuto anche l’ex ministro Clini dando atto al ministro Orlando di fare cose che anche lui aveva messo in programma, ma che il governo Monti gli impedì. 

Evidentemente gli incontri della Sapienza e ancor più la nomina dei nuovi presidenti in molti parchi nazionali bloccati da tempo hanno riavviato impegni e iniziative bloccati non da una legge,  ma da una politica vecchia e mummificata da un ministero capace solo di paralizzare burocraticamente i parchi nazionali come sta denunciando con vigore e giustamente l’associazione dei direttori.

Credo sia dovuta anche questa ripresa la presa di posizione della Conferenza delle regioni che dopo un silenzio lunghissimo  hanno approvato un documento con il quale tornano a dire la loro e non solo sui tre testi di legge in discussione al Senato per cambiare in peggio la legge 394 a cui si imputano responsabilità e colpe tutte da ricercare e senza neppure troppa fatica nelle politiche di governo e ministeriali.

Fiume Treja, Lazio

Fiume Treja, Lazio

Ecco perché ora come abbiamo chiaramente proposto anche nel Quaderno che come Gruppo di San Rossore abbiamo consegnato a Orlando bisogna ripartire sul serio e bene.

Il ministro sta assumendo, o ha già assunto, chiari impegni con l’Unione Europea come con l’ONU  che hanno molto apprezzato questo ritorno sulla scena del nostro paese.

Per l’ambiente come per i Beni culturali urge ripartire proprio dal ruolo dei rispettivi ministeri come ha iniziato a fare il ministro Bray anche se non sembra  sia partito con il piede giusto. Anche per il ministero dell’ambiente se vogliamo davvero ripartire riuscendo innanzitutto a coinvolgere le regioni e gli enti locali serve una cura efficace che finora è mancata nonostante la legge l’avesse prevista e stabilita anni fa, ma che fu colpevolmente ignorata.

Intendiamoci hanno pienamente ragione quelli che sostengono che altri ministeri oltre all’ambiente e ai beni culturali hanno più cose da rivedere se vogliamo riuscire davvero nell’impresa di mettere l’ambiente in sicurezza. Ma anche in questo il ministero dell’ambiente ha un ruolo decisivo di cui deve farsi carico.

Lo ha detto chiaramente il ministro  Orlando inaugurando alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa un Master ambientale, se vogliamo raccordare finalmente le politiche di tutela e quelle economiche.

Deve far riflettere, ad esempio, che dinanzi al ripetersi di tanti e distruttivi disastri non si parli dei piani di bacino i cui confini cambiano nottetempo, ma che soprattutto mancano ancora spesso  dei piani necessari-tanto è vero che pur dopo tanti tagli si registrino ancora residui attivi non trascurabili perché non  si è stati in grado e non si è in grado di utilizzarli. 

Bacini significa –o avrebbe dovuto significare- piani, programmazione di territori in cui quasi sempre operano anche importanti aree protette nazionali e regionali. Si ‘mormora’, ad esempio, perché notizie più precise non ne ho trovate, che si stiano rivendendo i confini dei bacini al punto di renderli indefinibili e quindi ingovernabili. Non sarebbe il caso di cominciare a vedere quanti e quali sono i parchi e le altre aree protette che vi operano e come i loro piani e progetti –se li hanno- sono o possono e devono essere sintonizzati con quelli dell’Arno come del Magra, il Serchio ma anche il Po e via navigando?

Credo che ci aiuterebbe anche a capire di più e meglio di quanto stia accadendo che parlare di rilancio del governo del territorio – vedi la Toscana ma vale per tutte  le altre- non può significare solo puntare sul polo regione-comuni. E non ci si riferisce solo ai confini ma anche e soprattutto alle competenze e ai ruoli specie dopo la messa in pensione delle Province e delle Comunità Montane.

E chissà che questa riflessione non ci aiuti anche a capire meglio cosa significa e deve significare Senato delle autonomie e riscrivere il titolo V che è fallito perché non è riuscito a mettere in rete stato-regioni e autonomie ma solo a farle litigare di più.

Il ministero dell’ambiente e i parchi possono dare una mano sulla base  delle loro esperienze anche quelle meno brillanti.

D’altronde sbagliando si impara, almeno si spera.

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