Nelle società occidentali – dove aumenta sempre più la speranza di vita media, ma diminuisce il numero di nuovi nati –l’invecchiamento è considerato un problema cruciale di salute pubblica che rischia di far deflagrare il sistema del welfare, e una fase della vita mediamente triste e caratterizzata da declino fisico, cognitivo e psicosociale. Eppure, uno studio condotto da ricercatori dell’Università della California e dell’Università di Stanford suggerisce che un approccio ottimista alla cura degli anziani possa contribuire a ridurre la discriminazione sociale che li colpisce.
“L’interesse per la comprensione e la promozione di un invecchiamento di successo da parte del settore della salute pubblica è in aumento, ma fino ad ora poco si è indagato su come si integrano condizione fisica e aspetti cognitivi e psicologici”. Lo studio SAGE (Successful Aging Evaluation study) – i cui risultati sono stati pubblicati il 7 dicembre 2012 nella versione on line del Journal of Psychiatry – è stato condotto su 1.006 adulti di San Diego di età compresa tra i 50 e i 99 anni, con un’età media di poco più di 77 anni e ha previsto un colloquio telefonico di 25 minuti, seguito da una inchiesta per posta.”Si discute sempre più dell’aumento dei costi dell’assistenza sanitaria per gli anziani, dimenticando che le persone invecchiate bene, con successo, possono essere una grande risorsa per le giovani generazioni” afferma Dilip V. Jeste, primo ricercatore dello studio, professore di Psichiatria e Neuroscienze, direttore dell’UC San Diego Stein Institute for Research on Aging e attuale presidente dell’American Psychiatric Association.
Oltre a misurare i tassi relativi alle malattie croniche e alle disabilità, l’indagine ha preso in considerazione criteri più soggettivi come l’impegno sociale e l’autovalutazione del proprio stato di salute generale.
“A volte i risultati più rilevanti si ottengono proprio esaminando il punto di vista dei soggetti coinvolti”, ha detto Jeste.
Lo studio ha concluso che la resilienza (la capacità di affrontare e superare le avversità della vita, uscendone addirittura rinforzati) e la depressione determinano in modo significativo il livello di invecchiamento di successo che ciascun individuo si attribuisce, con effetti paragonabili a quelli apportati da una buona condizione fisica. “L’età avanzata è strettamente associata al peggioramento della funzionalità fisiche e cognitive, ma al contempo a una migliore condizione mentale”, commenta il co-autore Colin Depp, professore associato di psichiatria alla UC San Diego School of Medicine.
Dopo aver aggiustato i dati per età, è emerso che una migliore autovalutazione di invecchiamento di successo si associava ad un più elevato livello di istruzione, una migliore funzione cognitiva, una migliore percezione della salute fisica e mentale, una minore depressione e un maggiore ottimismo e capacità di recupero.
Ai partecipanti è stato chiesto di valutare quanto pensavano di essere invecchiati bene, su una scala di 10 punti, secondo la loro idea di “invecchiamento di successo”. Lo studio ha evidenziato che le persone con difficoltà fisiche, ma con un’alta resilienza, si erano attribuite autovalutazioni di invecchiamento di successo simili a quelle delle persone in buona condizione fisica, ma con una bassa capacità di recupero. Allo stesso modo, le autovalutazioni degli individui colpiti da declino delle funzionalità fisiche, con nessuna o minima depressione, avevano punteggi paragonabili a quelli delle persone fisicamente sane, ma affette da depressione moderata o grave.
“È emerso chiaramente che – nonostante il declino fisico e cognitivo – gli individui percepiscono un aumento del proprio benessere man mano che avanza l’età e che questo controintuitivo incremento di benessere associato all’invecchiamento persiste anche dopo aver considerato variabili come reddito, istruzione e matrimonio” osserva Jeste. Lo studio ha, inoltre, indicato che la psichiatria può rivestire un ruolo importante nell’aiutare gli anziani a invecchiare bene. “Godere di una condizione fisica perfetta non è né necessario né sufficiente”, osserva Jeste. “Ciò su cui dobbiamo puntare è la salute mentale dei nostri anziani, favorendo la resilienza e rafforzando il nostro impegno per il trattamento e la prevenzione della depressione”.