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Adattamento ed evoluzione: nuovi risultati dagli studi sull’aposematismo

Scritto da Annalisa Arci il 24.08.2012

Ranitomeya imitator Fonte: Wikipedia

Le riviste Frontiers in Zoology e Molecular Ecology stanno per uscire con due studi sul fenomeno dell’aposematismo, una tecnica di difesa con cui alcuni animali pigmentano il loro corpo per non essere catturati dai predatori (un noto esempio è dato dalla rana Ranitomeya imitator). L’aposematismo o mimetismo si verifica quando una specie rara, solitamente innocua e commestibile (il cosiddeaposematismo,tto mimo) evolve, giungendo ad assomigliare ad  una specie più popolosa, aggressiva e non commestibile.

Studiando il comportamento di una specie di imenotteri della famiglia delle Vespidae (Polistes dominula) diffusa in Europa e in Nordafrica, i ricercatori delle Università di Granada e di Almeria hanno scoperto la presenza di un rapporto diretto tra le dimensioni della ghiandola che produce il veleno e la loro pigmentazione (più o meno luminosa). Ragioni di adattamento e sopravvivenza sembrano spingere una specie “commestibile” ad imitare una specie sgradevole o pericolosa.

Il dottor Gregorio Moreno-Rueda, l’autore principale dello studio che uscirà nella rivista Frontiers in Zoology, presenta la scoperta in questo modo: “Si potrebbe pensare che le vespe più grandi abbiano ghiandole velenifere più grandi; in certo modo questo è vero, ma anche quando i dati sono stati rettificati per tenere in considerazione le dimensioni degli insetti un correlazione positiva tra le dimensioni della ghiandola e la luminosità è rimasta”. Ciò posto, una modifica della quantità di veleno e, al tempo stesso, della pigmentazione sarebbe molto costosa in termini evolutivi: senza considerare i tempi abbastanza lunghi per ottenere un risultato “stabile” nelle generazioni successive.

Per ovviare a questi problemi, gli studiosi hanno formulato alcune ipotesi. È possibile che alcune specie abbiano imparato ad imitare la morfologia di altre specie, senza che a questa forma di imitazione corrisponda un autentico cambiamento evolutivo. Oppure, ipotesi più probabile, che il cambiamento evolutivo sia in atto, e che abbia portato all’acquisizione di un nuovo carattere nei casi in cui abbia più di una funzione: “una seconda possibilità è che il pigmento è anche un antiossidante che aiuta a proteggere l’insetto dal suo stesso veleno o dai sottoprodotti della produzione veleno” precisa Gregorio Moreno-Rueda. Di conseguenza, una vespa che produce molto veleno avrà una luminosità più spiccata delle altre.

A conclusioni simili in merito alla rapida biodiversificazione di alcune specie giungono dagli studi sulle specie di rane velenose che vivono in alcuni siti dell’arcipelago di Panama (di prossima pubblicazione nella rivista Molecular Ecology). I metodi con cui i predatori selezionano le specie di rane sono basati sul colore: quelle verdi e blu, ad esempio, vengono rapidamente abbandonate poiché hanno un sapore acido, molto amaro.

Corinne Richard-Zawaki, docente di biologia evolutiva alla Tulane University di New Orleans, ha riorganizzato i dati raccolti da un gruppo di studenti che ha trascorso l’estate a Panama per studiare i meccanismi di selezione naturale. “Capire come abbiamo ottenuto la diversità della vita sulla Terra è importante per la conservazione delle specie”, puntualizza Corinne Richards-Zawacki. “Se vogliamo aiutare una specie a conservarsi abbiamo anche bisogno di conservare la sua capacità di adattarsi mediante i processi evolutivi”.

Questi progressi nella comprensione dei modi di vita, nonché nella life history, di gruppi intraspecifici solleva numerose questioni teoriche di cui gli studi successivi dovranno tenere conto. Più in dettaglio, si dovrà comprendere il ruolo che l’aposematismo gioca nei processi di adattamento e nell’evoluzione in generale.

Non si tratta di un concetto nuovo per gli storici della biologia. Di mimetismo aveva per la prima volta parlato il naturalista ed esploratore inglese Henry W. Bates, famoso per la spedizione in Amazzonia insieme a Alfred R. Wallace iniziata nel 1848. L’osservazione di alcune specie di farfalle lo condusse a sviluppare quel comportamento che porta oggi il suo nome (mimetismo batesiano), che si ha quando una specie commestibile imita una specie sgradevole o pericolosa. Henry W. Bates e Alfred R. Wallace ritenevano che il mimetismo fornisse elementi di supporto alla teoria della selezione naturale.

Tracce di queste supposizioni si trovano nella corrispondenza del 1866 tra David F. Wallace e Charles Darwin in cui si comincia a parlare di aposematismo,  ma lo stesso Darwin non seppe come conciliarlo con la selezione naturale: che funzione ha? Solo di difesa o è già un tipo di adattamento della specie? Se è tale, rientra nella selezione sessuale o è un carattere sviluppato solo a seguito dell’interazione con l’ambiente? Questi caratteri acquisiti fanno capo alla forma degli animali, coerentemente con le spiegazioni proposte dalla moderna biologia dello sviluppo, oppure rientrano nel loro assetto funzionale, come vorrebbe l’evoluzionismo neodarwiniano?

Un biologo dello sviluppo collocherebbe l’aposematismo nell’ontogenesi della specie, cercando di chiarire le dinamiche dei processi che nel corso della vita di un individuo danno origine alla sua forma. Il tentativo potrebbe rivelarsi fallimentare: come catturare la specificità dei caratteri aposematici se l’obiettivo è comprendere il modo cui la variazione genetica di qualsiasi carattere viene tradotta in variazione fenotipica?

Si può provare a cambiare punto di vista. Un biologo evoluzionista cercherebbe di capire come si genera e si modifica (nel tempo e nello spazio) la variabilità genetica e fenotipica che esiste all’interno delle popolazioni (e tra popolazioni e specie). Cercherebbe di spiegare i fattori determinanti, molto spesso storici,  dell’evoluzione dei caratteri, tentando di rendere conto anche della loro distribuzione. Qui il problema è più spinoso: se l’aposematismo è un momento nel cambiamento evolutivo di un gruppo, in cui sono rilevanti fattori funzionali ed ambientali, condiziona la selezione naturale e la deriva genetica della specie?

Ad oggi, la spiegazione più soddisfacente si trova negli studi di Biologia Evoluzionistica dello Sviluppo, la cosiddetta Evo-Devo. I concetti di evolvability e di exaptation sono a questo proposito utili. L’evolvability definisce la capacità di un individuo o di una popolazione di generare la diversità genetica e di evolvere attraverso la selezione naturale; spiega molti caratteri apparentemente irrilevanti o, peggio, svantaggiosi dal punto di vista adattativo. Stephen J. Gould  riteneva l’evolvability coerente con le teorie darwiniane. Sembra infatti collimare molto bene con il concetto di exaptation, ossia con la cooptazione verso nuove funzioni di caratteri che si erano inizialmente evoluti per altri scopi.

L’evolvability si traduce spesso nel riutilizzo di strutture già presenti, che vengono così a svolgere funzioni nuove, risolvendo, in questo modo, l’apparente paradosso secondo cui sarebbe capace di produrre strutture oggetto della selezione solo nel futuro. Al riutilizzo di strutture già presenti potrebbe fare capo l’aposematismo: la polifunzionalità del pigmento delle rane di Panama sarebbe una conferma di questa ipotesi (oltre che “repellente” per i predatori,  è un antiossidante che aiuta a proteggere l’insetto dal suo stesso veleno o dai sottoprodotti della produzione veleno).

Così inteso, l’aposematismo è coerente con la teoria secondo cui i caratteri non sono unità date a priori: è possibile studiare l’evoluzione di un carattere, come la pigmentazione o la produzione di veleno, studiandone l’evoluzione e i processi che le generano. In questo quadro teorico l’aposematismo chiama in causa una pluralità di strutture che sono il risultato di un intreccio di processi di sviluppo che nel corso dell’evoluzione possono esprimere forme e funzioni differenti. Non esistono mutazioni miracolose in grado di stravolgere la morfologia di una specie, né il suo sviluppo ha una valenza deterministica, una canalizzazione inevitabile.

L’aposematismo è un cambiamento morfologico. Ad ogni cambiamento morfologico e/o strutturale corrisponde un insieme di possibilità, di modi di adattamento; che questa forma di mimetismo possa essere una fonte evolutiva che crea vincoli progressivi allo sviluppo e su cui la selezione naturale continua ad agire (in termini di controllo genetico e di opportunità ecologiche) è una sfida a cui i biologi non potranno sottrarsi.

A seguire gli studi citati: (1) J. Manuel Vidal-Cordero, Gregorio Moreno-Rueda, Antonio López-Orta, Carlos Marfil-Daza, José L Ros-Santaella and F Javier Ortiz-Sánchez, Risk Brighter-colored paper wasps (Polistes dominula) have larger poison glands, in  “Frontiers in Zoology”, 2012 (in corso di stampa).  (2) Corinne Richards-Zawacki, Mate choice and the genetic basis for colour variation in a polymorphic dart frog: inferences from a wild pedigree, in “Molecular Ecology”, 2012, vol. 21, 15, (in corso di stampa).

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