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Complessità ed evoluzione: ecco come si è arrivati alle zampe dei vertebrati

Una ricerca pubblicata sulla rivista Developmental Cell condotta da un team di scienziati spagnoli dell'Universidad Pablo de Olavide a Siviglia, partendo dal fatto che molte genetiche sono connesse al “misshaping” degli organi durante lo sviluppo, ha studiato il comportamento dei geni coinvolti nella formazione degli arti

Scritto da Annalisa Arci il 11.12.2012

SPAGNA – La selezione naturale rappresenta un quadro di riferimento importante per spiegare la storia del cambiamento evolutivo. Ciò nonostante i suoi principi non devono essere considerati come le cause necessarie del corso degli eventi evolutivi. Che la nostra life history sia largamente soggetta alla contingenza è un dato abbastanza noto.

Pesce zebra

La vita è rimasta quasi esclusivamente unicellulare per i primi cinque sesti della sua storia: se si considera che i primi fossili risalgono a 3,5 miliardi di anni fa, mentre i primi animali pluricellulari risalgono a meno di 600 milioni di anni fa, il quadro è piuttosto chiaro. È sensato dunque concludere che la comparsa degli esseri umani fu la conseguenza contingente di un numero elevato di eventi connessi. Uno qualunque avrebbe potuto svolgersi in maniera diversa, dirottando la storia su un altro percorso che, forse, non avrebbe condotto all’intelligenza che siamo abituati a conoscere.

Complessità ed evoluzione. La conquista dell’ambiente da parte dei vertebrati ha rappresentato un evento cruciale nella storia dell’evoluzione. Siamo in grado di ricostruire con sufficiente esattezza le mutazioni morfogenetiche delle appendici dei primi anfibi grazie alle testimonianze fossili. I tetrapodi furono il primo gruppo di vertebrati in grado di uscire dall’acqua e di camminare sulla terraferma. Fino ad oggi le cause di questo cambiamento nel fenotipo restavano oscure: cosa ha causato la mutazione delle pinne in arti? Se ciò non fosse accaduto, difficilmente i vertebrati avrebbero colonizzato l’ambiente circostante.

Una ricerca pubblicata sulla rivista Developmental Cell condotta da un team di scienziati spagnoli dell’Universidad Pablo de Olavide a Siviglia, partendo dal fatto che molte ricerche genetiche sono connesse al “misshaping” degli organi durante lo sviluppo, ha studiato il comportamento dei geni coinvolti nella formazione degli arti.  Per cercare di chiarire la questione i ricercatori del team di José Luis Gómez-Skarmeta hanno inserito nelle cellule dei tessuti embrionali di un pesce zebra (Danio rerio) una copia in più del gene HOXD13 coinvolto nella regolazione della differenziazione dei tessuti in diverse parti del corpo.

I tessuti embrionali così mutati erano destinati, in condizioni normali, a diventare pinne. Questo innesto ha causato una maggiore produzione delle proteina espressa da quel gene ed ha determinato due effetti: una riduzione del tessuto della pinna e una produzione di una maggior quantità di tessuto cartilagineo. Questa correlazione segue uno schema che ricapitola alcuni aspetti chiave dello sviluppo embrionale degli arti degli animali terrestri.

Di fronte a questo dato, il team di Gómez-Skarmeta si è chiesto se nuovi elementi di controllo del gene potessero aver causato un suo aumento di espressione, e hanno confrontato la struttura del gene e dei suoi promotori nel pesce e nel topo. “Abbiamo scoperto che innestando in un pesce un elemento genetico di controllo presente nel topo, si potenziava l’espressione del gene nell’abbozzo embrionale della parte distale della pinna. Questo indica che l’apparato molecolare in grado di attivare questo elemento di controllo era presente anche nell’ultimo antenato comune ad animali dotati di zampe e di pinne. E che sia stato proprio così è dimostrato dal fatto che nel Danio rerio ne abbiamo individuati i ‘resti’ ”.

La scoperta non solo ha le implicazioni che sottolineano gli autori, relative soprattutto alla genesi di alcune malattie genetiche associate alla malformazione degli arti. Per dirla con il biologo tedesco Ernst Heinrich Haeckel, l’ontogenesi ricapitola la filogenesi.

Troppo spesso si dimentica che selezione naturale non significa soltanto lotta tra organismi per il successo riproduttivo. Non significa soltanto maggiori opportunità di adattamento delle popolazioni ad ambienti che si modificano nel tempo. La selezione naturale non è il motore di un progresso generale, bensì un principio di adattamento locale; non è la sola causa del cambiamento evolutivo. Lo stesso Charles Darwin enfatizzò fortemente la natura multifattoriale del cambiamento evolutivo e mise in guardia dall’affidarsi in modo troppo esclusivo alla selezione naturale: la chiusa dell’introduzione a L’origine delle specie esprime la convinzione nel considerare la selezione naturale come il più importante, ma certamente non l’unico, fattore di modificazione. Stephen Jay Gould, brillante paleontologo di Harvard, ci aiuta a capirne i motivi.

Charles Darwin si era concentrato sui modi in cui gli organismi conseguono il successo riproduttivo. Secondo Stephen Jay Gould vi sono molte altre cause che influiscono su di esso, particolarmente ai livelli di organizzazione biologica che non coincidono con quello su cui si è tradizionalmente concentrato Darwin. La storia della vita sarebbe una storia naturale influenzata internamente da vincoli strutturali che limitano la selezione stessa ed esternamente da una varietà di fattori etologici e contingenti.

Come testimonia il lavoro del team di ricerca guidato da Gómez-Skarmeta, al livello di codice genetico il cambiamento è spesso neutro, dunque casuale (e porta ad esiti differenziali negli individui), mentre a livello di intere faune o specie l’equilibrio intermittente (o punteggiato) può produrre tendenze evolutive mediante una selezione basata sull’emergenza di caratteri morfologici o di parti strutturali nuove e sulla velocità di comparsa e di estinzione delle specie.

Riferimenti bibliografici:

Freitas et al.: “Hoxd13 contribution to the evolution of vertebrate appendages”, DOI: 10.1016/j.devcel.2012.10.015

 

 

 

 

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