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Estinzione di massa del Permiano più rapida di quanto ritenuto. ‘Solo’ 60mila anni

Scritto da Leonardo Debbia il 13.02.2014

La più grande estinzione di massa nella storia della vita animale si è verificata circa 252 milioni di anni fa ed è nota come ‘estinzione di fine Permiano’.

L’evento spazzò via il 96 per cento delle specie marine e il 70 per cento di organismi terrestri, compresi i più grandi insetti che abbiano mai abitato la Terra.

Cosa fu a provocare la catastrofe?

Le teorie elaborate a tale proposito sono state le più svariate: un asteroide, massicce eruzioni vulcaniche, concomitanza funesta di eventi disastrosi.

Raffigurazione del paesaggio durante l’estinzione di fine Permiano (crediti: José-Luis Olivares / MIT)

Raffigurazione del paesaggio durante l’estinzione di fine Permiano
(crediti: José-Luis Olivares / MIT)

Ora, gli scienziati del Massachussett Institute of Technology (MIT) di Cambridge, USA, hanno scoperto che questa estinzione possa aver avuto una durata breve, di ‘soli’ 60mila anni,un tempo enorme per noi, un ‘battito di ciglia’, poco più che istantaneo, dal punto di vista geologico.

Sam Bowring, docente di geologia, assieme al ricercatore Seth Burgess, entrambi dipendenti del MIT, hanno scoperto che 10mila anni prima della gigantesca morìa, gli oceani avevano sperimentato un brusco incremento della percentuale di carbonio e un notevole innalzamento di 10°C delle temperature dell’acqua, concomitante con un aumento della quantità di anidride carbonica nell’atmosfera.

L’acidificazione degli oceani sicuramente sterminò quasi ogni forma di vita.

Ma quale fu il fattore scatenante, alla base di quel letale aumento di CO2?

Molti studiosi hanno chiamato in causa una serie di grandi eruzioni vulcaniche avvenute in Siberia, in un’area collinare modellata da grandi fuoriuscite di un antico magma, calcolate in un volume di oltre cinque milioni di metri cubi di materiale lavico.

I risultati dello studio sono stati pubblicati su Proceedings of the National Academy of Sciences.

Nel 2006 Bowring e un team di suoi studenti, si recarono a Meishan, in Cina, una regione dove sono presenti formazioni rocciose sedimentarie con evidenti tracce di una grande estinzione, per raccogliere indizi e campioni di roccia, in particolare da una serie di strati che meglio delineava il passaggio Permiano-Triassico.

Dopo l’esame in laboratorio dei campioni fu, all’epoca, convenuto che l’arco temporale dell’evento fosse stato di 200mila anni, ma il risultato non soddisfece i due ricercatori, che ritennero la misurazione troppo approssimativa per trarre conclusioni sulla causa scatenante.

Ora il team, dopo aver esaminato accuratamente cinque campioni di roccia del sito di Meishan, polverizzate in laboratorio, analizzato i piccolissimi cristalli di zircone contenenti uranio e piombo e quindi effettuate le misurazioni dei rapporti tra i relativi isotopi, ha riconsiderato le stime precedenti.

La stima della durata dell’estinzione è scesa a 60mila anni o poco più e all’evento è stato associato un precedente brusco aumento di anidride carbonica negli oceani.

Il nuovo intervallo temporale stabilito sui fossili ha convalidato la teoria delle eruzioni vulcaniche in Siberia quali responsabili dell’innesco dell’estinzione e della disastrosa concatenazione di eventi che ne seguirono.

Secondo Bowring, il rilascio nell’atmosfera e negli oceani di ingenti quantità di CO2 è compatibile e conseguente anche ad un singolo ma catastrofico impulso dell’attività magmatica che avrebbe prodotto una crisi quasi istantanea di tutti gli ecosistemi della Terra.

Per confermare se le eruzioni siberiane siano effettivamente state la ‘pistola fumante’ dell’estinzione, Brugess e Bowring intendono studiare ora la cronologia effettiva degli eventi eruttivi in Siberia e, in un secondo tempo, cercare altre tracce in Cina per vedere se la determinazione sulla durata possa essere stimata con ulteriore maggior precisione.

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