Il 2012 è l’anno che sarà ricordato per la nascita dell’Iwi, la nuova sigla della sostenibilità, la culla è il Brasile. Si tratta di un nuovo indicatore di ricchezze dei Paesi messo a punto dall’agenzia Onu per l’ambiente e presentato durante il summit Rio+20, che si tiene in questi giorni. In sostanza, questo nuovo indice vuole dimostrare che, a causa del chiodo fisso sulla crescita economica del mondo, si sta ignorando un rapido e irreversibile fatto: l’esaurimento delle risorse naturali che colpirà duramente le future generazioni. Questo nuovo indicatore vuole rendere chiaramente noto ai governanti il vero stato di benessere delle loro nazioni e mostrare loro, con dati e numeri, nero su bianco, la sostenibilità della crescita che stanno portando avanti.
L’agenzia Onu per l’ambiente (ovvero The International Human Dimensions Programme on Global Environmental Change, UNU-IHDP, The United Nations University e The United Nations Environment Programme, UNEP), ha sviluppato un nuovo indice di valutazione di ricchezza dei Paesi, creando l’Iwi, l’Inclusive Wealth Index, presentato proprio in questi giorni in Brasile, in occasione della conferenza Rio+20, insieme a un rapporto sui 20 Stati che sono cresciuti maggiormente negli ultimi anni, dal 1990 al 2008. L’Iwi va molto al di là delle sigle a cui siamo stati abituati per anni, come ad esempio il Pil, il noto Prodotto interno lordo, “La Conferenza di Rio è un’ottima occasione per smettere di considerare il Pil come l’unica misura della prosperità di un paese, perché trascura i principali indici di benessere delle persone, oltre allo stato delle risorse naturali di un paese – afferma il direttore esecutivo dell’Unep Achim Steiner – l’Iwi è fra le possibili alternative che i leader mondiali potrebbero prendere in considerazione”.
Il report, che ha valutato 20 paesi dal 1990 al 2008, si focalizza sulla sostenibilità delle attuali risorse di base, e non analizza il resto del XIX o XX secolo, quando la rivoluzione industriale prima e quella dei consumi dopo hanno portato molti Paesi a diminuire drasticamente il loro capitale naturale. “L’Iwi riporta un range di dati che i vari capi di stato dovrebbero tenere in considerazione come modo per apportare grande precisione nel valutare la ricchezza generazionale del loro Paese, con lo scopo di realizzare uno sviluppo sostenibile e di sradicare la povertà” ha aggiunto Achim Steiner.
I Paesi che sono stati considerati in corso di analisi sono: Australia, Brasile, Canada, Cile, Cina, Colombia, Ecuador, Francia, Germania, India, Giappone, Kenya, Nigeria, Norvegia, Russia, Arabia Saudita, Sud Africa, USA, Regno Unito e Venezuela. Questi stati rappresentano circa il 56% della popolazione mondiale e sono stati scelti tra economie ad alto, medio e basso reddito. Ben diciannove paesi su venti hanno fatto registrare agli studiosi un declino delle risorse naturali. Nonostante la crescita registrata durante gli anni presi in considerazione, Paesi come la Cina, gli Stati Uniti, il Sud Africa e il Brasile hanno dimostrato di avere significativamente esaurito il loro capitale naturale di base, risultato della somma dell’uso di risorse rinnovabili e non rinnovabili, come carburanti fossili, foreste e risorse ittiche. Durante il periodo di tempo esaminato, le risorse naturali pro-capite sono diminuite del 33% in Sud Africa, del 25% in Brasile, del 20% negli Stati Uniti e del 17% in Cina. Delle nazioni esaminate, tra cui non figura l’Italia, solo il Giappone non ha registrato una drastica diminuzione del suo capitale naturale, grazie a un incremento della crescita delle foreste.
Tenere la contabilità del benessere: è questo il concetto che sta dietro alla sigla Iwi, ovvero il rendere consapevoli le nazioni sul dove si fonda la loro ricchezza. In questo modo, viene mostrato un quadro chiaro e comprensibile sull’andamento del benessere del mondo e delle società che lo abitano, rendendo edotti gli esponenti politici di vari Stati sull’importanza del mantenimento del capitale di base delle loro nazioni per le future generazioni. “L’Iwi rappresenta un primo passo cruciale per il cambiamento del paradigma economico globale, forzandoci a resettare i nostri bisogni e obiettivi come società” ha detto il professore Anantha Duraiappah, direttore dell’ UNU-IHDP. “L’indice offre una cornice rigorosa che offre spunti di dialogo con molti rappresentanti, sia dell’ambiente che dei settori sociale ed economico”, conclude Duraiappah.
L’importanza di questo studio è tanto elevata in quanto vengono anche presi in esame Paesi a forte crescita demografica, come l’India, la Nigeria, l’Arabia Saudita, dove lo sfruttamento del territorio rischia di essere determinante e impoverire le risorse naturali. Il capitale umano è aumentato infatti in tutti i Paesi valutati dallo studio e, nella maggior parte delle economie, rappresenta la forma principale di capitale che compensa la diminuzione del capitale naturale.