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Il petrolio argentino

Scritto da Leonardo Fumelli il 01.05.2012

Sede della Repsol a Madrid. Foto Luis García

L’Argentina vuole nazionalizzare la compagnia petrolifera Repsol. Questo tentativo mette a confronto cooperazione sociale e indipendenza energetica e mette in discussione il modello economico europeo.

Cristina Fernández de Kirchner è il Presidente dell’Argentina da dicembre 2007, quando succedette alla guida del paese al marito, Néstor Carlos Kirchner, deceduto nel 2010.
La politica della Kirchner è stata fin dall’inizio rivolta alle classi sociali meno abbienti: sono state nazionalizzate diverse società, è stata fatta la scelta di proteggere risorse culturali e produttive interne in una sorta di “decolonizzazione economica” trainata anche dagli altri Paesi dell’America Latina.

Ma come una storia già raccontata, è scoppiato un caso diplomatico quando il Presidente ha annunciato la nazionalizzazione della compagnia petrolifera Ypf, originariamente argentina, dal 1999 spagnola, essendo stata acquisita dal gruppo Repsol per 13 miliardi di dollari. Il Paese era in mano a Menem, in corso la nota ondata di privatizzazioni liberiste, sfociate nel crack del 2001.

La Kirchner ha messo sul tavolo la politica d’investimento che Repsol ha condotto in Argentina: esiguo sfruttamento delle riserve e della produzione nazionali contro un ritorno all’import estero, il tutto tradotto in aumenti del prezzo dell’energia che si ripercuotono sul consumatore.

“Deve essere chiaro a tutti” ha detto Kirchner “che non stiamo nazionalizzando, ma recuperando lo strumento fondamentale per sostenere il nostro sviluppo. Rischiamo di trovarci paralizzati per colpa della mancanza di risorse.” E ha continuato spiegando “Nel 2011, anno in cui abbiamo dovuto importare combustibile, Ypf ha registrato il maggior guadagno della sua storia, oltre dodici miliardi di dollari”.

Anche i paesi emergenti siglati BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) hanno sostenuto la scelta, sottolineando che non sono solo le liberalizzazioni dei commerci a produrre sviluppo e inclusione sociale, in realtà il modello economico occidentale può essere ripensato.

Infine, dato non secondario, è che la nazionalizzazione del petrolio è stata voluta dal 90% del Senato, oltre al fatto che diversi ex-ministri contrari si sono rivelati a libro paga della Repsol.

Degli ultimi giorni le notizie dello scatenarsi di una guerra di mercato in attesa che la legge venga definitavamente approvata: Repsol ha minacciato di sospendere repentinamente la fornitura, ma YPF ha risposto di poterne fare a meno grazie a nuove forniture provenienti dalla Bolivia.

Se riappropriarsi delle proprie riserve può essere visto dall’interno come diritto insindacabile, dall’esterno il mercato globale si sente minacciato poiché vengono meno le regole di concorrenza che determinano i prezzi e la sicurezza energetica globale.

L’Europa ha subito reagito alla politica della Kirchner. Oltre al gelo delle istituzioni, la Spagna chiede interventi da Bruxellles per ripristinare la situazione; anche il premier tecnico Monti si è sbilanciato ponendo l’attenzione sul pericolo rappresentato dall’Argentina per le aziende italiane che operano nel Paese, una su tutte Enel. Intanto il Commissario per il Commercio dell’UE, Karel De Gucht, ha detto che l’UE cercherà una soluzione presso l’Organizzazione mondiale del commercio, se necessario.

Insomma un altro dibattito intorno al petrolio che mette a confronto cooperazione sociale e indipendenza energetica, aziende petrolifere private e governi ideologicamente e geograficamente lontani.

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