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Ripensare Anassimandro dopo Einstein e Heisenberg

Scritto da Annalisa Arci il 04.05.2014

Tutte le civiltà umane hanno sempre pensato che il mondo fosse fatto di Cielo sopra e Terra sotto. […]. Questa immagine del mondo è condivisa […] da tutte le culture di cui abbiamo traccia. Tutte eccetto una: la civiltà greca. Già nel periodo classico, per i Greci la Terra era un sasso che galleggia nello spazio senza cadere: sotto alla Terra non c’è altra terra all’infinito, né tartarughe, né colonne: c’è lo stesso cielo che vediamo sopra di noi. Come hanno fatto i Greci a comprendere presto che la Terra è sospesa sul nulla, e il cielo continua sotto i nostri piedi? Chi lo ha capito e come?”.

Così inizia Che cos’è la scienza. La rivoluzione di Anassimandro (Mondadori, 2011) di Carlo Rovelli, un fisico molto noto come divulgatore e per il suo contributo alla fondazione della Gravità Quantistica a Loop (LQG, Loop Quantum Gravity), la maggior rivale della (più nota a livello mediatico) teoria delle stringhe. Una specie di derby tra due squadre epistemiche: da un lato i fisici duri e puri, i loopisti, mentre dall’altro tutti quei fisici che cedono alle seduzioni della matematica, gli stringhisti. E Anassimandro cosa c’entra?

Bassorilievo che ritrae Anassimandro

Bassorilievo che ritrae Anassimandro. (Credit: Museo Nazionale Romano).

Come forse suggerisce il titolo di questo post, che ho preso in prestito da uno dei capitoli di Che cos’è la scienza, Anassimandro è fonte di ispirazione per i loopisti. Per capire come sia possibile dobbiamo ripensare Anassimandro. Oggi fisica e filosofia sono discipline diverse, con linguaggi, approcci, metodi diversi e, forse, con risposte diverse alle nostre eterne domande: di cosa è fatto il mondo?. Questo dualismo è figlio delle due culture, umanistica e scientifica, che amano perdere tempo in sterili querelle. Ma non tutti siamo incatenati ai dualismi. Rovelli ci mostra infatti perché anche dopo Einstein, Heisenberg e il bosone di Higgs, è necessario scomodare Anassimandro (e, aggiungo, perché è altrettanto necessario continuare ad avere la possibilità di studiarne i frammenti e la tradizione nelle nostre scuole).

Anassimandro (VII-VI a.C.) discepolo di Talete, autore del primo libro in prosa Perì physeos (Sulla Natura) ci insegna che l’àpeiron è l’elemento originario, l’archè (principio) di tutte le cose. Come si traduca questo àpeiron è ancora oggi un rompicapo: infinito, indefinito o indeterminato, senza contare il problema della distanza semantica che ciascuna delle varianti ha assunto dai tempi della Grecia presocratica ad oggi (basti pensare a Cantor). Abbiamo le testimonianze di Aristotele (Metafisica, Alpha) e di Simplicio: un’ipotesi delle ragioni che spinsero Anassimandro a preferire l’àpeiron ad uno dei quattro elementi sta nella spiegazione del molteplice. Aristotele gli attribuisce questa idea: un solo principio finirebbe per riassorbire in sé tutte le cose, diventando fallace, inutile sul piano epistemico. Al contrario, solo l’indeterminato è capace di diventare tutte le cose e può ben essere inteso come principio e causa del molteplice che ci circonda.

L’àpeiron non lo percepiamo, eppure gioca il ruolo di principio e causa. Questo vuol dire che la realtà non è come ci appare. Il ruolo giocato dagli sforzi di astrazione di Anassimandro nella fondazione dell’immagine del mondo che la storia della scienza ci consegna è ben visibile nell’ultimo libro di Rovelli che, non a caso, si intitola La realtà non è come ci appare (Cortina, 2014). Storia della scienza e fondazione di una immagine del mondo contraria alle comuni apparenze: nel testo di Rovelli le parti di “didattica della fisica” sono subordinate al filo logico usato per esporre una visione del mondo.

Un pacchetto di chiavi epistemiche per capire che cosa ci insegnano sul mondo alcune grandi teorie: la meccanica quantistica, la relatività, la LQG. L’immagine del mondo di Talete, Anassimandro, Anassimene, cui seguirono l’atomismo deterministico di Democrito-Leucippo e la versione indeterministica di Epicuro, ci conducono a Galileo, Newton e al relativismo quantistico. Per giungere a comprendere in che modo la LQG può mettere d’accordo relatività generale e meccanica quantistica: non sviluppando una nuova idea (come avviene nella teoria delle stringhe), ma riorganizzando ciò che già sappiamo in una nuova interpretazione della natura.

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L’universo di Anassimandro. (Crediti: Wikipedia.org).

In che modo? I costituenti del mondo newtoniano erano tre: spazio, tempo, particelle (o corpi). Faraday e Maxwell scoprono i fenomeni elettromagnetici introducendo un concetto nuovo, il campo, molto importante per la riformulazione dei principi operata da Einstein: spaziotempo, campi e particelle. La meccanica quantistica fonde i campi e le particelle e i costituenti scendono a due: spaziotempo e campi quantistici. Rovelli ritiene che per comprendere la struttura della Natura occorre decostruire alcune nostre certezze che derivano in parte dai sensi e in parte dalla tradizione culturale; per questo motivo intende ridurre il tutto ad uno, lo spaziotempo quantistico. Un’interpretazione in cui lo spazio e il tempo – pace Kant – non sono più ingredienti intrinseci alla natura, ma effetti su scala macroscopica dei processi che avvengono su piccola scala. Un mondo costituito non più di particelle ma di campi quantistici covarianti che interagiscono continuamente; e proprio da questa interazione derivano le nostre nozioni di spazio, tempo e particelle. Nozioni utili ma non essenziali per dare una descrizione più profonda della realtà in cui siamo immersi.

La rivoluzione auspicata da Rovelli non è una semplificazione né un’operazione logica, come potrebbe suggerire una lettura superficiale della “riduzione della molteplicità all’uno”. Non è neppure (solo) una riforma metafisica di ordine mereologico. È qualcosa di più radicale: se posta di fronte al sapere tradizionale la riforma concettuale dei campi quantistici covarianti ricorda l’atteggiamento in linea di principio conservativo di Einstein, molto simile a quello che nutriva Aristotele nei confronti delle ontologie alternative e dei linguaggi naturali che confluirono in esse (si veda l’interessante Aristotle’s physics):

il punto chiave è che le teorie di Einstein e di Heisenberg non sono piccole correzioni alla teoria di Newton. Non si tratta di un aggiustamento di un’equazione,di una ripulitura, o di una formula da aggiungere, o sostituire. Al contrario,queste nuove teorie costituiscono un radicale ripensamento del mondo. La scienza non si riduce a predizioni verificabili. […] La rivoluzione di Einstein, quindi, non è basata sullo scartare delle teorie e provarealtre teorie. Al contrario. È basata sul prendere sul serio le teorie esistentie scartare qualcosa nella concettualizzazione a priori del mondo, qualcosa cheera considerato insospettabile fino a quel momento. Non fa un nuovo gioco all’interno di regole del gioco chiare: cambia le regole del gioco. Il tempo non è quella cosa che assumevamo come ovvia. Non ha la forma che Kant considerava una condizione a priori necessaria per conoscere. È il senso comune che va modificato, in barba a tutta la riverenza anglosassone per il senso comune. Einstein non scarta la conoscenza qualitativa e fattuale delle teorie precedenti, per salvarne solo i fenomeni, le predizioni verificate. Fa proprio al contrario, prende questa conoscenza fattuale estremamente sul serio. Questo atto di fiducia è talmente estremo da accettare, in cambio, di rinunciare ad un a-priori forte del senso comune: la nozione di simultaneità. Non sono quindi direttamente i dati sperimentali nuovi che portano al grande salto concettuale rappresentato dalla relatività ristretta: è la fiducia nella efficacia concettuale delle teorie precedenti che si sono rivelate empiricamente adeguate, nonostante la loro apparente contraddizione. Questa ricostruzione della logica di una rivoluzione scientifica è quasi opposta a quella di Kuhn”, (Che cos’è la scienza. La rivoluzione di Anassimandro, Mondadori, 2011, p. 95).

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