Sullo stato di salute dei nostri parchi e aree protette negli ultimi anni è stato detto di tutto e di più anche nelle sedi preposte alla loro gestione e rappresentanza. Si era pensato persino di abrogarli perché inutili, costosi e addirittura luoghi di corruzione nella lotta per le poltrone. Meglio semmai privatizzarli. Anche chi non ha condiviso queste cure estreme ha ritenuto tuttavia che bisognava voltar pagina mettendo mano alla legge del 1991 ormai invecchiata annacquando il ruolo come previsto dalle leggi in discussione al senato. Poi si è scoperto con grande entusiasmo che la green-economy poteva offrire anche ai parchi una via d’uscita aprendo la rappresentanza negli enti anche a categorie come gli agricoltori. I parchi si è detto possono essere il volano dell’economia verde se da miopi diventeranno strabici e kennediani e la smetteranno perciò di chiedersi cosa devono fare stato e regioni per loro, ma –pensa te- cosa dovranno fare loro per lo stato e le regioni che nel frattempo li stanno mazzolando di brutto.
Anche per questo quando si è finalmente deciso da parte del ministro dell’ambiente di andare ad un incontro e riflessione nazionale ai primi di dicembre a Roma passando attraverso taluni appuntamenti specifici per uscire da una confusione in cui era sempre più difficile raccapezzarsi ci si è augurati che fosse la volta buona per chiudere la stagione delle cavolate e delle provocazioni.
Giusto quindi chiedersi specie dopo che il parlamento sta votando anche provvedimenti come quello sul parco dello Stelvio sia pure accompagnati anche dalla istituzione di un paio di nuove aree protette marine che sembrano però uscire come i conigli dal cappello di Mandrake, se l’incontro alla Sapienza di Roma è riuscito allo scopo.
Voglio al riguardo ricordare che come Gruppo di San Rossore abbiamo dato un contributo serio e qualificato come ci eravamo impegnati a fare con il ministro Orlando. Ebbene pur in un contesto dove chiari sono risultati gli impegni del ministro ancora una volta sono emersi gli sconcertanti ritardi invece delle strutture ministeriali nel presentare proposte e idee. Il che ovviamente ha reso più complicato trarre un bilancio preciso della situazione dei nostri parchi nazionali e regionali tanto più che le regioni hanno brillato ancora una volta per la loro latitanza mentre tengono la scena situazioni come quella delle Marche, ma anche di altre regioni dove i parchi stavano rischiando la chiusura.
E tuttavia pur in quadro segnato ancora da non poche ombre un dato è emerso abbastanza chiaramente e cioè che dopo tante chiacchere sulle grandi opportunità che offre l’economia verde anche ai parchi per uscire dai loro guai, essi sono praticamente i soli che stanno facendo concretamente qualcosa di significativo. Chissà se a qualcuno che ha scomodato Kennedy e l’oculistica fischiano le orecchie e si ricorderà che Valerio Giacomini un po’ di tempo fa parlò dei parchi come laboratorio di nuove politiche del territorio.
Concludendo una cosa può essere detta senza timore di smentita: è che i guai non vengono dalla legge troppo vecchia, ma dalle politiche sbagliate che ora è più chiaro che si possono cambiare naturalmente se lo si vuole. Certo anche il governo e il parlamento devono smetterla di inserire in leggi omnibus di tutto, perché anche le cose giuste –vedi appunto le due nuove aree protette marine- devono figurare in impegni non semiclandestini e casuali.