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Mali: il conflitto taciuto, le rivendicazioni dimenticate

Mali, il conflitto taciuto, le rivendicazioni dimenticate, i nomadi tuareg, la morte di Gheddafi, la schizofrenia internazionale e l’uranio. Un mix micidiale che merita chiarezza

Scritto da Chiara Pane il 22.01.2013

Si potrebbe partire da gennaio 2012, quando i tuareg del Movimento nazionale per la liberazione dell’Azward (MNLA) hanno lanciato un attacco contro il governo per avocare a sé il diritto di autodeterminazione dei territori del nord del Mali. Le loro rivendicazioni risalgono ai primi anni ‘90, ma solo nel 2012 l’azione è stata così audace da mettere ko l’esercito maliano sul campo e proclamare il 6 aprile 2012 l’indipendenza unilaterale dell’Azward. Indipendenza non riconosciuta dal governo del Mali e neanche dall’Unione Africana e dall’Unione Europea capitanata dalla Francia.

Tuareg in Mali, 1974

Tuareg in Mali, 1974

Perché proprio nel 2012? E cosa c’entra Gheddafi? Per anni i tuareg maliani si sono rifugiati in Libia, dove godevano dell’appoggio dell’ex leader libico, che li aveva addestrati e fatti inserire nelle forze armate. La rivoluzione libica e la morte del colonnello hanno inaugurato una nuova diaspora dei tuareg, mal visti dalle milizie ostili a Gheddafi. Decisero così di tornare in Mali portando con se gli arsenali libici. La maggior parte si schierò dalla parte del MNLA decretandone la vittoria contro l’esercito governativo.

Tuttavia il MNLA, che si auto dichiara movimento laico, non è riuscito a mantenere il controllo dei territori e la scorsa estate gli islamisti del Movimento per l’unicità dello jihad in Africa Occidentale (Mujao) e il gruppo Difensori dell’Islam (Ansar Dine), legati ai terroristi di Al Qaida nel Maghreb islamico, hanno conquistato la zona soppiantando la ribellione tuareg. Al contrario dei tuareg, che rivendicavano l’indipendenza dei territori e che cercano il consenso della comunità internazionale, i movimenti islamisti notoriamente ostili all’occidente, mirano all’applicazione della Shari’a in tutto il paese. Fra l’altro come denunciano gli stessi attivisti nel MNLA attraverso il proprio sito internet, questi gruppi sono impegnati nei traffici illegali di armi e droga e si sono macchiati di delitti e violenze atroci soprattutto contro la popolazione femminile.

E poi c’è la Francia, dal cui potere il Mali si è formalmente liberato solo nel 1960. La potenza europea non nasconde i suoi interessi per le sorti della repubblica africana e poco più di una settimana fa ha lanciato un’offensiva militare contro le forze militari islamiste alleate che occupano i territori settentrionali. All’avvio del conflitto il presidente francese François Hollande ha fatto riferimento ad un intervento breve “che durerà il necessario”. Ma gli ultimi avvenimenti non fanno ben sperare e l’arsenale di cui dispongono i movimenti islamisti è tutt’altro che inadatto per contrastare l’esercito francese. Ecco che il conflitto si allarga e il supporto di Gran Bretagna e Stati Uniti si prospetta necessario. Richiesto anche l’aiuto logistico dell’Italia, che non si è tirata indietro, ma che per il momento non ha programmato un intervento diretto. Eloquenti le parole del ministro degli Esteri Giulio Terzi, che martedì alle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato ha ammesso: “La crisi in Mali avrà sicuramente tempi lunghi, senza una piena responsabilizzazione delle forze africane e maliane, difficilmente se ne potrà uscire”. Aggiungendo, “Credo che un paese come l’Italia, impegnato non solo nella lotta al terrorismo, ma anche nella stabilità e nello sviluppo del Sahel, non possa non essere parte, seppure limitatamente, dell’operazione”.

Piena responsabilizzazione delle forze africane, che tradotto in cifre significa 2.000 soldati africani, secondo gli ultimi accordi raggiunti con la Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Ecowas). Per adesso i soldati africani impegnati nel conflitto sono poco più di 1000, mentre quelli francesi sono circa 2.150 (Fonte Ansa). Un dispiegamento imponente dettato anche da interessi economici. La Francia, difatti, ha mantenuto con l’ex colonia rapporti economici privilegiati. L’occhio cade inevitabilmente sulle risorse di uranio, non ancora sfruttate, di cui è ricco il Mali e che gioverebbero alle industrie nucleari d’oltralpe. Punto focale è anche la posizione del Mali, confinante con un’altra ex colonia francese, la Mauritania, il cui sottosuolo è ricco di petrolio. Proprio nel 2011 il governo della Mauritania ha firmato un accordo con il gruppo francese Total per poter effettuare esplorazioni ed eventuali estrazioni del prezioso oro nero. E poi ad est c’è il Niger, ricco di giacimenti di uranio su cui la multinazionale francese AREVA ha messo le mani sin dagli anni ‘70. Giacimenti fondamentali per la Francia, che a differenza di altri accordi, in questo caso non ha mai firmato clausole riguardati l’esclusivo uso “pacifico” del prezioso metallo.

Guerra al terrorismo sì, ma anche e soprattutto guerra per interessi economici. Da parte sua l’Unione Europea ha proposto una riunione internazionale sul Mali, in programma il prossimo 5 febbraio a Bruxelles. Sono state invitate anche l’Unione africana, l’Ecowas e l’ONU.

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