È boom d’investimenti nel settore della ricerca energetica a livello mondiale: nel 2011, infatti, la spesa in R&S in campo si è triplicata rispetto agli altri settori (+34,3% contro un +6,1% complessivo). Questo è dovuto sia all’impegno finanziario sostenuto dal settore pubblico (nel corso dell’ultimo decennio gli investimenti sono passati da 12 a 36 miliardi di dollari) sia al ruolo giocato dalla Cina (37,4miliardi di dollari investiti nel solo 2011). Questo è quanto emerge dal rapporto sull’Innovazione Energetica di I-Com (Istituto per la Competitività), elaborato in collaborazione con ABB Italia, Assoelettrica, CNR, ENEA, Enel, Eni, RSE e Terna, dedicato al tema della competitività dell’Italia nel contesto politico-economico internazionale.
Qual è la situazione registrata in Italia? Con i suoi 1,31 miliardi di dollari, l’Italia è il fanalino di coda rispetto ai principali Paesi in termini di investimenti, sebbene ci sia stata una significativa ripresa rispetto al 2010 (+23% le risorse pubbliche investite e sia +5% quelle private). È chiaro che in confronto ai giganti degli investimenti Cina e USA (che con 14 miliardi di dollari) e ai paesi europei Francia e Germania (rispettivamente 3,8 e 3,6 miliardi di dollari all’anno) lo sforzo compiuto dall’Italia è ben poca cosa. L’efficienza energetica è stato il settore che ha maggiormente beneficiato degli investimenti (24% del totale), mentre risulta dimezzato, rispetto a 10 anni prima, il volume di risorse destinate al nucleare (23%), con le rinnovabili che si attestano al 17%.
«Attraverso la filigrana del comparto energetico è possibile osservare i nodi e le contraddizioni dell’intero sistema produttivo italiano – commenta Stefano da Empoli, Presidente di I-Com – occorre sottolineare ancora una volta come la chiave di volta dell’innovazione debba risiedere nella definizione di politiche di sostegno rivolte specificamente alle PMI, rafforzandone la capacità di cooperazione con le grandi imprese del settore e i centri di competenza nazionali e, più in generale, a livello italiano, ma anche europeo nella razionalizzazione dell’impiego delle risorse con una capacità di selezione molto maggiore di settori e luoghi della ricerca. Oggi siamo al paradosso che non c’è neppure un coordinamento nazionale tra quello che fanno ad esempio Regioni ed università quando ne servirebbe uno di livello continentale».
In termini di ricerca di base, l’Italia si posiziona ai primi posti per le pubblicazioni scientifiche con 113 articoli pubblicati nel 2012 dei quasi 2.500 articoli pubblicati sulle più prestigiose riviste scientifiche internazionali del settore energetico, quinta dopo Germania e Spagna. Tra le regioni italiane, la Lombardia è prima con il 21%, seguita dalla Sicilia, con il 10%.
Purtroppo però, non ne consegue un’adeguata produttività in ricerca applicata: come dire, non si brevetta un granché. Sono solo 154 i brevetti italiani depositati presso l’ufficio brevetti europeo nel 2012, rispetto ai 17.437 brevetti relativi alle tecnologie energetiche a bassi impatto ambientale, con la Lombardia prima ancora una volta (30% dei brevetti) e le regioni meridionali sempre più distaccate con la Sicilia al tredicesimo posto. Questo fenomeno si spiega con la struttura del settore produttivo, basato prevalentemente sulle piccola e piccolissima aziende.
Per quanto riguarda import ed export di tecnologie energetiche, l’Italia presenta un attivo di 7,7 miliardi di dollari nel 2011 (la Germania si ferma a 6,8 milioni), anche se di gran lunga indietro rispetto ai colossi di Giappone (+80,6 miliardi di dollari) e Corea del Sud (+22,9 miliardi di dollari).
Il rapporto presenta, inoltre, alcune proposte per una politica a sostegno dell’innovazione, quali mettere al centro di specifiche piattaforme di sviluppo le PMI, limitare la frammentazione di risorse attraverso programmi di ricerca a lungo termine e di forte impatto, snellire i processi autorizzativi in campo energetico rendendo più efficiente il sistema delle incentivazioni. Ma non solo.
È necessario implementare la cooperazione tra imprese e centri di ricerca e il raccordo tra amministrazioni centrali e regionali, per creare una vera e propria governance del settore, consentendo quindi agli operatori del settore di avere una visione di medio termine sugli obiettivi di politica energetica nazionale e con la strategia industriale e della ricerca.