L’anziano signore che prende la parola per parlare del creato e del suo rapporto con l’uomo, ha voce acuta, talvolta esitante nella ricerca delle giuste parole, è ironico e coltissimo.
Siamo al Sacro Monte di Crea nel corso degli appuntamenti su “Annunciazione annunciazioni” organizzati dalla associazione Aleramo. Il, è su una collina e il paesaggio di pieno settembre col vento che spazza via le nuvole è mozzafiato.
Il paesaggio è il creato a pensarci bene, non è solo qualcosa da fotografare, da ammirare (finché c’è) e in un paesaggio così il tema del rispetto della natura ha un senso del tutto particolare.
Il signore che parla è Paolo De Benedetti, teologo e biblista italiano. Come mi ha detto una cara amica: è un sapiente, nel senso profondo della saggezza. Docente di Giudaismo alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Milano e di Antico Testamento agli Istituti di scienze religiose delle università di Urbino e Trento. Ha pubblicato numerosissimi libri, tra tutti ricordo quelli che mi paiono più innovativi e legati al tema del creato. Eccoli: Teologia degli animali (Morcelliana 2007); Il filo d’erba (Morcelliana 2009).
Teologia degli animali che sarà mai? Credo che lo spieghi meglio di tutti proprio De Benedetti: «… dobbiamo pensare il paradiso non come è raffigurato dagli affreschi delle chiese, ma come recupero delle piccole cose, dei particolari, delle cose che appaiono a noi insignificanti» e in quest’ottica: «Io credo… che l’animale, compagno di tante solitudini, di tante tristezze, in misura varia secondo la sua coscienza – affermo e ripeto coscienza – ci accompagnerà anche nell’altra vita, e non ci si chieda di spiegare il perché ».
Mi bastano queste parole per indurmi a ricercare i suoi libri e per pensare di lui ogni bene possibile; dev’essere una persona speciale quella che nota il filo d’erba e che non si crede al centro dell’universo, ma si rapporta agli altri esseri: gli animali, gli alberi…
De Benedetti inizia a porre le basi delle sue tesi con citazioni dalla Bibbia di cui come s’è detto è profondissimo conoscitore, cita in aramaico e poi traduce.
Con un gioco di parole possibile solo nell’aramaico, il nome di Dio prima della creazione è la parola niente, (AIN) vuoto, si tramuta col variare di una sillaba (AVI) in -IO. Il riconoscimento di sé come un’individualità ha conseguenze incalcolabili, nel senso che, se Dio si sente Io, ha bisogno di un Tu, perché l’io senza il tu non esiste (con buona pace degli egocentrici che infestano il nostro mondo).
Qual è il tu di Dio, il suo prossimo (che la parola ebraica rende non solo come il vicino, ma anche come compagno, amico…)?
È il creato. Creato appunto di Dio come suo prossimo come suo Tu, come sua possibilità di relazione. Noi esseri umani entriamo senza dubbio in questa relazione, Dio ci affida il suo creato, noi possiamo disporne, ma solo in quanto custodi, MAI come padroni.
(Al ritorno abbiamo visto i cacciatori tra le risaie…)
Nel Levitico, il quinto libro del Pentateuco (libri della Bibbia) si dice “ama il prossimo tuo come te stesso” che è già un’affermazione forte, ripresa da Gesù, è già un compito arduo… ma la traduzione dall’ebraico potrebbe anche essere “ama il prossimo tuo perché è te stesso”.
Cambia tutto vero? Brucia l’albero e io sento la pelle accartocciarsi e sento il fuoco che mi penetra e mi soffoca.
Un cane sta sempre alla catena e io mi sento prigioniero disperato della sua stessa angoscia cui lui non sa dare un nome ma che gli pesa come la catena che gli hanno imposto, lui incolpevole, lui innocente. Lui che, come dice De Benedetti non ha voluto diventare Dio eppure condivide il nostro destino.
La teologia degli animali e del creato nasce da qui, dalla parola stessa di Dio e poi si sviluppa in citazioni totalmente ecumeniche che vanno dall’Antico al Nuovo Testamento, a testi rabbinici, a San Paolo, a testi protestanti…
Purtroppo rileva giustamente De Benedetti abbiamo imparato l’amore del creato dalla rovina del creato, forse anche perché sempre di più siamo abitatori di città e non a caso il fondatore della città è stato Caino. Secondo me tra l’altro nonostante l’avanzata distruzione del Creato ancora pochi hanno capito il suo ruolo.
Non bisogna offendere il creato: cioè il prossimo, cioè l’uomo, l’animale, l’albero…
Se ancora nel mondo la maggioranza delle persone non mostra d’aver compreso che senza il tu del creato nemmeno l’io dell’uomo potrà sopravvivere, l’avrà compreso il bambino con cui De Benedetti conclude il suo discorso, così profondo. Il bimbo in questione racconta che lui e un amico avevano visto un uccello volar via da un buco in un muro e dentro il buco c’erano 4 uova. Il compagno del bimbo prese un uovo e lo ruppe e il bimbo vide che nell’uovo c’era un piccolo uccellino, col becco e il sangue e la carne… come la sua, come la carne d’un bambino.
Info iniziativa: http://www.aleramonlus.it