Non faccio mai buoni propositi, nemmeno bilanci. Non volontariamente, intendo, perché non voglio ipotecare il futuro e non voglio struggermi sul passato. Non posso dire di vivere nel presente e basta, penso spesso a quel che sarà, ne ho fatto persino una passione fobica per tanti anni: l’ansia da attesa del panico, dell’ansia, della morte, della follia.
Ho frequentato all’Università Lettere Classiche, lingue morte, che invece penso mi parlino ancora e sempre, per cui anche il passato non mi è certo estraneo.
Però i bilanci hanno in sè un senso della fine, dell’arrivo che io non sento e i propositi pongono dei limiti che io patisco molto.
Ma, se pure non faccio bilanci e non prometto nulla, penso a precise parole. Penso che avrò parole su cui concentrarmi, da vivere, da pensare, di cui parlare. Parole di cui parlare.
Credo sia una deformazione di chi scrive poesie: la parola non solo dice, la parola anche agisce.
C’è stato un periodo in cui la parola di cui parlavo era essenza, lo scheletro delle cose, gli alberi d’inverno senza foglie, i rami essenziali.
Quest’anno credo che la parola sarà bontà.
Non il bene, il grande concetto filosofico e teologico. No, proprio la bontà. In italiano Bene ha un suono piano, nobile, Bontà con quell’accento sulla a ha qualcosa di frivolo, birichino, alla fin fine non troppo serio. Anche buono è parola derisa, furbo molto meno, ma non voglio discutere di questo.
La mia parola ha da essere bontà, con tutte le implicazioni che si porta dietro, tutti i fraintendimenti.
Per ora comunque ho soprattutto domande.
Cos’è la bontà? È un concetto, un qualcosa di relativo come la bellezza? Se pure la bellezza è relativa. E già qui si cammina sulle sabbie mobili.
Credo si debba da subito comprendere che in assoluto la bontà non esiste perchè non è umana, come ben scrisse Sartre nel mio testo preferito, il dramma “Il diavolo e il buon Dio”.
L’assoluto nell’uomo è di fatto impossibile, la ricerca dell’assoluto no ed è una cosa positiva, la convinzione di avere in mano la perfezione invece è un costante e terribile pericolo per tutti. L’individuo convinto di essere il portatore di assoluto e perfezione è infatti l’estremista, l’intollerante, l’integralista proprio l’opposto della bontà.
Io penso anche, ma è ancora da dimostrare, che bontà e felicità (dunque anche utile in un certo senso) sono legate: la bontà rende felici, credo che tutti abbiamo fatto l’esperienza di fare un atto di generosità e quindi abbiamo provato una sensazione di benessere.
Questo vuol dire che chi non è buono non vuol essere felice? Può essere il caso che esista una felicità che viene da altro? Immaginare che il male renda felici a me fa paura.
Certo non esiste il malismo, ma il buonismo perchè la bontà e il bene sono cose così difficili che si cerca di buttarli giù, di infangarli; c’è purtroppo spesso il desiderio di imbruttire le cose.
Il male, essendo già brutto, non si può imbruttire, ma nemmeno lo si può abbellire. La bontà è misteriosa e sfuggente, ma al tempo stesso per ora ho capito che è concreta, una dote naturale, ma anche un costante e difficile esercizio quotidiano.
Per cui è il caso che mi metta al lavoro.