Soren è un filosofo che mi ha sempre profondamente affascinato. L’ho sempre sentito vicino al mio modo di essere e di pensare. Presentare Kiekegaard è estremamente complesso, ma cercherò di farlo nel modo più semplice e comunicativo possibile, come ritengo questo grande pensatore avrebbe voluto.
Ci troviamo di fronte prima di tutto a un filosofo la cui vita è strettamente connessa al suo pensiero. Parlo fin da ora di “pensiero” e non di “filosofia” per una ragione ben precisa: Kierkegaard si considera un libero pensatore, non insegnò mai infatti, non fece, di conseguenza, mai parte della filosofia accademica dell’epoca.
Fare filosofia significava seguire le orme di Hegel e Soren non avrebbe mai potuto accettare una condizione simile.
Hegel si macchia infatti di due colpe profonde e insanabili: la prima è quella dell’oggettività e la seconda quella della necessità.
Andiamo con ordine. Oggettività: Hegel ha cancellato, secondo Kierkegaard, la soggettività prediligendo invece concetti astratti che pretendono di essere oggettivi. Non si può parlare di storia o di umanità se non ci si concentra prima sull’uomo, singolo, con un nome ed un cognome. Cancellando questo si cancella il riferimento essenziale cui la filosofia dovrebbe tener conto.
Seconda critica abbiamo detto essere la necessità. Hegel, dicendo che il reale è razionale, ha imposto come categoria d’eccellenza la necessità appunto: tutto ha una logica, vige il principio di causa effetto, tutto è matematico.
Kiekegaard è assolutamente convinto che non sia così nel mondo reale, quello con cui ognuno di noi ha a che fare ogni giorno, uscendo dalla porta di casa. Il regno degli uomini è al contrario quello della possibilità. La mia vita è quell’insieme di possibilità tra le quali colloco le mie scelte. Ne realizzerò qualcuna, ne abbandonerò qualcun’altra.
A tutto ciò si aggiunge il fatto che Hegel non ha mai riflettuto troppo sulla temporalità, che al contrario, pare essere fondamentale per Soren: l’uomo fa i conti tutti i giorni con il tempo che passa, prendendo coscienza del fatto che la sua caratteristica preminente sia la finitezza. La parola “essere” non dovrebbe più indicare un concetto metafisico e trascendentale, ma riferito all’uomo, un qualcosa di fragile e debole, destinato ad arrivare ad un punto di fine. A pensarci bene, in un’esistenza caratterizzata dalla possibilità, l’unica cosa necessaria è la morte. Non la morte in assoluto, la mia morte.
Una filosofia quindi che trova una spinta nuova e un nuovo fine: analizzare e comprendere l’esistenza umana, per quanto sia possibile. Kierkegaard fu riscoperto molto tardi, quasi 40 anni dopo e dai sui scritti si riprenderà un termine specifico per descrivere la condizione dell’uomo ( moderno per lo più). Tale termine è la gettatezza: ognuno di noi si trova ad essere in questo mondo come gettato improvvisamente dall’alto, senza essere cosciente di nulla e dovendo cercare di costruire un proprio io singolo, una famiglia, un futuro. Ciò provoca naturalmente angoscia e timore. Soren, da buon indagatore dell’esistenza umana, descrive in aut aut tre tipologie di “vita” possibili. Esse possono essere lette sia come scelte esistenziali diverse, sia come stadi dell’esistenza.
Tre dunque sono le possibilità:una vita estetica, una vita etica e una religiosa.
La vita estetica è la vita dell’uomo proiettata verso l’esterno, nel mondo del sentire e del sentirsi. Egli vive nell’istante presente, non pensa al futuro ne ricorda il passato. Ciò lo porta a dimenticarsi che il tempo sia finito e che prima o poi arriverà la morte. Ha come caratteristica principale il fatto di non voler mai prendere alcuna decisione: l’unica scelta presa è quella di non scegliere. L’estetca non progetta quindi nulla e preferisce lasciarsi vivere, abbandonarsi all’anonimato, all’impersonale. Nella dimensione affettiva vuole sentirsi amato ma non ama, non si vuole legare. Il suo emblema è il Don Giovanni. E’ felice? no. Il suo è divertimento e non felicità. Cade in una condizione di disperazione, rendendosi conto di vivere una vita vuota.
Seconda esistenza possibile è quella etica. Tale è la vita esattamente opposta a quella appena descritta. La caratteristica qui è la scelta. E’ la vita dell’uomo virtuoso che affronta le sue responsabilità e i rischi, anche di sbagliare strada. Il rischio è evidente: c’è sempre la possibilità che il mio progetto esistenziale non vada a compimento. Anche il buon marito, figura che esemplifica questa scelta di vita, entra però in crisi. Perché? Perché si rende conto che anche seguendo una vita retta non sente la sua esistenza giustificata. Il sentimento predominante sarà quindi l’angoscia visto come sentimento universale e totalizzante che leva ogni voglia e desiderio di vivere.
Terza e ultima strada è quella religiosa che Kierkegaard non descriverà mai direttamente, ma si limiterà a dire essere un modello problematico e radicale, molto più dei precedenti.
Per capire appieno quest’ultima via dovremmo parlare delle se concezioni religiose, ma il tempo stringe e vi devo lasciare. La puntata della prossima settimana sarà proprio dedicata a questo tema però e apriremo una parentesi su quella che in filosofese si chiama “filosofia della religione”.
A venerdì!
Il fil che vi consiglio questa settimana è Quo Vadis Baby? di Gabriele Salvatores.