Un nuovo strumento basato sull’uso della luce infrarossa sarà utile per individuare lo stafilococco aureo, un batterio che causa infezioni anche gravi e spesso difficili da debellare.
Il batterio Staphylococcus aureus (S. aureus) si trova comunemente in natura e colonizza frequentemente la cute e il tratto respiratorio superiore degli esseri umani. Un sistema immunitario sano può combattere il microrganismo, ma una volta che il sistema immunitario è indebolito il patogeno può diffondersi e portare a malattie dei polmoni, del cuore e di altri organi. Inoltre lo S. aureus può produrre tossine negli alimenti che possono causare gravi intossicazioni alimentari. I suoi effetti non si limitano agli esseri umani: nei bovini, lo S. aureus causa frequentemente infiammazione delle mammelle, perciò il batterio è di grande interesse anche per la medicina veterinaria.
Lo S. aureus ha molte forme diverse, e questo lo aiuta ad eludere il sistema immunitario. Tipi aggressivi di S. aureus formano capsule e si moltiplicano rapidamente, ma sono rapidamente riconosciuti dal sistema immunitario. Forme senza capsule sono più vitali, sopravvivono all’interno delle cellule e sono meno riconosciute dal sistema immunitario. Altre si nascondono prima di attaccare e così hanno più probabilità di causare infezioni croniche e sono più difficili da trattare. Studi recenti suggeriscono che lo S. aureus una volta all’interno dell’organismo ospite, umano o animale, avvia una forma di microevoluzione, grazie alla quale si libera della sua capsula: in questo modo elude il sistema immunitario dell’ospite e può persino sopravvivere al trattamento antibiotico. Per questo è importante rilevarlo prima che l’evoluzione si compia.
Ora grazie ad un nuovo metodo con luce infrarossa sviluppato da Tom Grunert e colleghi le capsule possono essere rapidamente e chiaramente distinte l’una dall’altra, senza l’uso di anticorpi. La tecnica si basa su un procedimento fisico noto come FTIR o Fourier Transform Infrared Spectroscopy. La luce infrarossa sui microrganismi da testare produce dati spettrali che vengono gestiti da un sistema di auto-apprendimento supervisionato, una cosiddetta rete neurale artificiale, che utilizza i dati per elaborare il tipo di capsula. Come dice Grunert, “Con il nuovo metodo possiamo testare campioni di pazienti con un tasso di successo fino al 99 per cento.”
Il direttore della University of Veterinary Medicine di Vienna, Monika Ehling-Schulz, commentando la ricerca, la inserisce in un contesto più ampio. “In linea di principio, i germi hanno due possibilità: infettare l’ospite o nascondersi: in termini tecnici si tratta della “virulenza” o della “persistenza”. Se attaccano, rischiano di distruggere l’ospite e di conseguenza se stessi, mentre se si nascondono, possono essere sopraffatti da altre infezioni. Una conoscenza dettagliata dei meccanismi di virulenza e di persistenza e del modo in cui batteri interagiscono tra loro ci aiuterà a sviluppare nuove terapie più efficaci”.