L’involucro gassoso che avvolge il nostro pianeta e che ci permette di abitarlo, potendo respirare senza essere arsi dal calore del Sole è, come noto, l’atmosfera.
Questo involucro è stato suddiviso in zone, alquanto differenti per proprietà e caratteristiche fisiche.
Senza entrare nel merito di una suddivisione troppo specifica, ci atterremo ad una suddivisione più generica ma sufficientemente esplicativa per l’argomento che si vuole trattare.
Diciamo quindi che lo strato atmosferico inferiore, quello a diretto contatto con la Terra, è stato chiamato troposfera.
Qui avvengono tutti i fenomeni meteorologici, si hanno le correnti convettive, i venti, le perturbazioni. La troposfera si estende da 8 chilometri di altezza delle zone polari fino a 20 chilometri in corrispondenza dell’equatore.
Sappiamo dai testi scolastici che, man mano che si sale di quota, l’aria diviene più fredda e più rarefatta.
Nel 1902 Léon Teisserenc de Bort, un meteorologo francese, scoprì che questa diminuzione di temperatura, ad una certa quota – variabile dagli 8 ai 17 chilometri di altezza – si arrestava e anzi si verificava un’inversione di tendenza: continuando a salire, anche la temperatura atmosferica prendeva a salire.
Lo strato in cui si verificava questa inversione fu chiamato tropopausa e lo strato superiore prese il nome generico di stratosfera.
Ancora oggi si mantiene questa suddivisione per designare gli strati principali ed è a questa suddivisione generica che qui ci atterremo.
Nel 1980 una navicella della NASA evidenziò una simile suddivisione anche nelle atmosfere di Giove, Saturno, Urano e Nettuno, nonché di Titano, una luna di Saturno.
L’aspetto più particolare osservato era che la tropopausa, lo strato in cui si verificava l’inversione del comportamento termico, si manteneva costantemente a 0,1 bar di pressione su tutti i corpi celesti.
La tropopausa separava quindi ovunque uno strato più esterno o stratosfera, con una temperatura dipendente dall’assorbimento delle onde corte della radiazione solare, da una zona sottostante caratterizzata da convezione, temporali e nuvole, chiamato troposfera? Pareva proprio di sì.
Tuttavia, non era chiaro perché la troposfera fosse presente proprio e soltanto al valore della pressione corrispondente a 0,1 bar.
Ora, in un articolo su Geoscience, Tyler Robinson e David Catling, due ricercatori dell’Università di Washington, hanno spiegato il motivo. La causa sarebbe da ricercarsi nella fisica della radiazione infrarossa.
“Abbiamo usato un semplice modello per dimostrare che a pressioni atmosferiche inferiori a 0,1 bar la trasparenza alla radiazione termica permette al riscaldamento a onde corte di formare uno strato chiamato stratosfera”, dicono i due scienziati.
I gas che compongono l’atmosfera (di qualunque composizione essa sia) assorbono la luce infrarossa proveniente dal Sole. Ma alle alte quote, le atmosfere sono estremamente rarefatte, per cui la radiazione infrarossa va dispersa. Alle basse pressioni degli alti strati agiscono soltanto la luce dello spettro visibile e la luce ultravioletta ad assolvere la funzione di riscaldamento, permettendo quindi un nuovo aumento della temperatura con la quota.
Questa regola dovrebbe valere per tutte quelle atmosfere che contengono gas stratosferici in grado di assorbire la luce ultravioletta.
Nella troposfera, quindi a quote più basse, a pressioni più elevate l’atmosfera è più opaca alla radiazione termica, la trattiene e, scendendo di quota, si ha così un aumento della temperatura.
Una dipendenza comune dell’opacità agli infrarossi sulla pressione imposta questo valore di 0,1 bar.
“Riteniamo che una tropopausa alla pressione di circa 0,1 bar sia caratteristica di molte atmosfere, inclusi pianeti e satelliti extrasolari, della nostra e di altre galassie”, concludono i due studiosi.
Questa conclusione schiude nuove prospettive alla comprensione se la vita sia possibile sui lontanissimi esopianeti