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Onde di metalli pesanti nell’universo primordiale

Scritto da Annalisa Arci il 07.02.2014

Nei primi anni di vita l’universo non era come lo conosciamo oggi. Una distesa oscura, attraversata da un plasma rovente di particelle e quark che, dopo una repentina inflazione, ha lasciato spazio a protoni ed elettroni liberi. Questa fase fu molto lunga, visto che la formazione delle prime strutture composte si stima a circa a 100 milioni di anni dal Big Bang. E le prime galassie sono ancora più giovani:, visto che si sono formate all’incirca un miliardo di anni dopo, periodo in cui si è innescata quella “catena causale” che ha portato l’universo alla sua attuale configurazione.

Esistono da vari anni numerosi progetti di ricerca che stanno cercando di ricostruire la storia dei primi periodi di vita dell’universo. Negli ultimi tempi, soprattutto grazie ai progressi tecnologici, le simulazioni al computer sono diventate uno strumento imprescindibile. Oggi, proprio grazie ai calcoli effettuati dal Texas Advanced Computing Center (TACC), diventa sempre più definita la nostra comprensione (e descrizione) dei primi eoni dell’universo. 

Un gruppo di ricercatori dell’Università del Texas, tra cui Milos Milosavljevic, Chalence Safranek-Shrader e Volker Bromm, a gennaio ha presentato i risultati di diverse simulazioni numeriche effettuate grazie ai sistemi Stampede, Lonestar e Ranger del TACC. I risultati, descritti nelle Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, sono la summa di ciò che sappiamo sulla formazione delle galassie primordiali e, soprattutto, sul modo in cui i metalli pesanti nelle nubi molecolari hanno influenzato le caratteristiche chimiche delle prime stelle. Per avere un’idea di cosa sia una simulazione in astrofisica è possibile osservare il grafico sotto.

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[Credit: Chalence Safranek-Shrader, Milos Milosavljevic, and Volker Bromm, The University of Texas at Austin].

Vi descrivo in breve cosa si ricava da queste immagini. La simulazione mostra l’instabilità idrodinamica innescata dal rapido raffreddamento di una porzione di materia oscura arricchita da elementi pesanti in un periodo in cui l’universo aveva solo 300 milioni di anni. I metalli espulsi hanno incontrato i campi gravitazionali degli aloni di materia oscura, creando così una nuova popolazione di stelle. Ma l’esplosione delle prime supernovae non ha distribuito materiale in maniera uniforme: l’instabilità di quelle regioni di spazio favorisce la creazione di veri e propri vortici che interrompono il flusso continuo di materia. Invece di una netta onda d’urto sferica, l’espulsione dei metalli è stato un processo disordinato, con masse informi di materiale che viaggiavano in ogni direzione. Da sinistra a destra e dall’alto in basso, i sei pannelli mostrano le proiezioni della densità del gas, e la barra orizzontale ha lunghezza (1 pc = 3,26 anni luce).

È molto importante studiare i processi di raffreddamento degli elementi pesanti perché, come spiega Milosavljevic, inizialmente l’universo era costituito solo da idrogeno ed elio: la prima trasformazione fisica è stata dunque quella che ha condotto alla formazione delle primissime stelle – in pratica stelle metalliche – alla cui esplosione si deve la dispersione dei metalli nello spazio circostante. Il risultato fu una evidente disomogeneità strutturale: alcune stelle erano ricchissime di metalli mentre altre ne erano completamente prive. 

Mettere ordine in questi processi così complessi è fondamentale per sapere dove puntare i telescopi. In termini astronomici sappiamo infatti che queste prime galassie ora sono molto lontane da noi e che non si sono mai incorporate in strutture formatesi in tempi successivi. Molti scienziati confidano nella possibilità di osservarle dal 2018 in poi, quando sarà lanciato il James Webb Space Telescope (JWST). I telescopi a terra si impegneranno in studi di follow-up dei fenomeni che il JWST rileva. Ma per farlo gli scienziati hanno bisogno di sapere come interpretare le osservazioni del JWST e in che modo sviluppare un protocollo operativo adeguato per permettere la sinergia tra questi potenti strumenti. 

“Se il James Webb Space Telescope sarà in grado di fornirci un’immagine o un mosaico di lungo periodo vorremmo raccomandare qualche strategia per il JWST”, ha commentato Milosavljevic che, con ogni probabilità, ha in mente le firme caratteristiche che alcuni oggetti astronomici portano con sé (un po’ come accade con gli isotopi di datazione al carbonio). Il che sarà fondamentale per capire quando e come le varie popolazioni di stelle si sono succedute durante la storia dell’universo. Non solo è innegabile, come sottolinea il Premio Nobel Saul Perlmutter, che questo sia un momento davvero emozionante per il campo della cosmologia, vista la precisione e il dettaglio con cui siamo pronti a raccogliere, simulare e analizzare i dati. Ma, come giustamente ricorda Nigel Sharp, direttore della Divisione di Scienze Astronomiche alla National Science Foundation, la scienza computazionale adotta strumenti e metodi spesso poco conosciuti ma di cui sembra non si possa più fare ameno in cosmologia. 

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