L’anidride carbonica presente nell’atmosfera acidifica il mare, mettendo a rischio le barriere coralline, i luoghi che contengono il 70% della biodiversità degli ambienti marini. Ma i ricercatori del CNR hanno scoeprto che alcuni coralli sono in grado di difendersi dall’acidificazione e adattarsi variando il loro pH interno. Altre specie rischiano invece di estinguersi, con gravi conseguenze sulla salute del mare.
L’anidride carbonica che immettiamo in atmosfera, oltre a riscaldare il pianeta tramite l’effetto serra, sta progressivamente acidificando le acque del mare, mettendo a rischio la sopravvivenza di molti organismi marini e delle scogliere coralline tropicali. Una ricerca condotta da un team internazionale, cui ha preso parte l’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Ismar-Cnr), ha però identificato un meccanismo fisiologico che permette ad alcuni coralli di contrastare gli effetti negativi dell’acidificazione degli oceani.
“I coralli si dividono tra quelli che producono uno scheletro aragonitico, e quelli che lo costruiscono sotto forma di calcite, due diverse fasi mineralogiche del carbonato di calcio”, spiega Paolo Montagna dell’Ismar-Cnr. “Utilizzando gli isotopi del boro siamo riusciti a quantificare la differenza tra il pH dell’ambiente marino e quello interno dei coralli, scoprendo che i coralli aragonitici, ad esempio del genere Acropora o Porites, hanno meccanismi biologici di autoregolazione che permettono di aumentare il pH interno, proteggendosi in questo modo dai cambiamenti dell’ambiente”.
“Dal 1800 si è registrato un aumento della CO2 di circa il 40% e gli oceani hanno assorbito circa un terzo della CO2 di origine antropogenica”, prosegue il ricercatore. “Come conseguenza il pH del mare è diminuito da 8,2 a 8,1: può sembrare una variazione minima, ma le ricostruzioni paleoclimatiche dicono che negli ultimi 2 milioni d’anni il pH del mare non è mai sceso al di sotto dell’8,1, mentre all’attuale tasso di crescita dell’anidride carbonica in atmosfera nel 2100 questo valore potrebbe scendere fino a 7,7”.
La scoperta del gruppo di ricercatori non deve tuttavia indurre ad abbassare la guardia. Se alcuni coralli sanno adattarsi, altri non possono farlo. La preoccupazione, oltre che per i coralli con scheletro calcitico, è per le alghe calcaree – che risentono dell’acidificazione e sono ‘la colla’ della barriera corallina – e il plancton calcareo, primo pilastro della vita marina.
“Il mare è un ecosistema complesso: se le specie che fissano il carbonio nei loro scheletri iniziano a diminuire, la capacità del mare di assorbire l’anidride carbonica e contrastare l’effetto serra diminuirà”, conclude il ricercatore.
E’ un quadro complicato. La salute complessiva delle barriere coralline dipende infatti anche da altri fattori, come gli stress termici, l’apporto di sedimenti fluviali, l’inquinamento e la pesca eccessiva.
Il lavoro ‘Role of pH up-regulation in the resilience of coral calcification to ocean acidification and global warming’ scritto da Malcolm McCulloch, Jim Falter, Julie Trotter della University of Western Australian e Paolo Montagna dell’Ismar-Cnr è uscito nell’ultimo numero della rivista Nature Climate Change ed è stato finanziato dai progetti Hermione e Coconet della Comunità Europea.