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Proteggere i frutti del passato per proteggere la biodiversità

Scritto da Redazione di Gaianews.it il 19.04.2013

Il convegno “Frutti del passato per un futuro sostenibile” organizzato dall’ISPRA, si è tenuto oggi a Roma presso il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. I massimi esperti italiani ed internazionali in materia di salvaguardia della biodiversità agraria e recupero di varietà in via di estinzione hanno discusso su come arginare la perdita di biodiversità galoppante.

Infatti il 75% della diversità di frutta e verdura è scomparsa nel nostro paese nell’ultimo secolo. Significa che le varietà degli alberi da frutto sono drasticamente diminuite: una vera perdita per la storia del nostro paese. Ma non è questo il motivo più importante per cui le varietà vanno tutelate. Infatti la perdita di varietà è dovuta alla coltivazione intensiva che utilizza anticrittogamici e antibiotici per far sì che le piante non si ammalino. Questo ovviamente indebolisce intrinsecamente la pianta che diventa sempre più vulnerabile e ha bisogno di sempre più “veleni”. Che noi in parte ingeriamo e che vanno ad inquinare le acque , sotterranee e superficiali, così come dimostrato da un recente rapporto di ISPRA.

Mele_non_comuni

Inoltre la perdita di varietà indebolisce intrinsecamente il mercato. Cose succederebbe se si ammalassero le 3 o 4 varietà più vendute di mele in Italia?

Ma veniamo ai dati ISPRA secondo i quali, “In Italia, alcune specie di frutta come albicocco, ciliegio, pesco, pero, mandorlo e susino hanno registrato una perdita di varietà pari a circa il 75%, con punte massime per albicocco e pero, dal tasso di sopravvivenza varietale di appena il 12%. Nel solo Sud Italia, tra il 1950 e il 1983, è stato riscontrato che delle 103 varietà locali mappate durante il primo sopralluogo, solo 28 erano ancora coltivate poco più di trent’anni dopo.

“Perfino una coltura che è orgoglio dell’Italia, come quella della vite da vino, sembra essersi terribilmente “impoverita” nell’ultimo secolo: a partire dalla ricostituzione dei vigneti conseguente alla diffusione della fillossera (insetto dannoso per la vite) avvenuta a fine Ottocento, il numero dei vitigni, coltivati all’epoca in alcune migliaia (400 nella sola provincia di Torino), è sceso nel 2000 a circa 350, di cui 10 soltanto occupano il 45% della superficie vitata italiana.”
E poi c’è il rischio riscaldamento globale:l’organizzazione delle Nazioni Unite prevede che entro il 2055, a causa del cambiamento climatico, scompariranno tra il 16 e il 22% dei parenti selvatici per colture importanti come arachidi, patate e fagioli.

“La sottoutilizzazione delle colture”, spiega ISPRA, “porta anche un impoverimento culturale, tanto più in Italia, paese che per i prodotti di nicchia ha un ruolo importante, con oltre 200 produzioni certificate che rappresentano più del 20% del totale europeo.” Ma oggi i saperi tradizionali e la coltivazione della biodiversità sono affidati a persone sopra ai 65 anni.

Ma, si spiega nella nota di ISPRA, sono già esistenti dei progetti di recupero di specie che si stavano perdendo. “Si va da varietà di albicocco come la Tonda di Castigliole in Piemonte, la Valleggia in Liguria, la Valvenosta in Alto Adige, la Cibo del Paradiso in Puglia, al ciliegio con la Mora di Cazzano in Veneto, il Durone Nero I, II e III in Emilia Romagna, la Ravenna nel Lazio, la Della Recca in Campania, la Ferrovia in Puglia, fino al melo con la Limoncella nel Lazio e in Campania, la Mela Rosa nell’Italia Centrale, la Appio in Sicilia e Sardegna, la Campanino in Emilia Romagna, la Decio in Veneto.”

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