Sentiamo spesso dire nei documentari o nelle pubblicazioni scientifiche che gli squali e gli altri pesci cartilaginei siano fra gli animali acquatici di maggior successo nella storia del nostro pianeta e che non siano cambiati molto poco nel corso delle ere: un discorso del resto simile a quello che già abbiamo visto essere spesso fatto per i coccodrilli. Naturalmente però si tratta di una semplificazione ed i paleontologi sono a conoscenza di un gran numero di pesci selaci a dir poco curiosi. Oggi parliamo di uno di questi, l’Elicoprione.
Innanzitutto, c’è da dire che purtroppo non abbiamo molti reperti fossili di questa creatura: avendo, come dice il loro stesso nome, uno scheletro composto quasi interamente da strutture cartilaginee, è estremamente raro imbattersi in resti completi di qualsiasi Selace, si tratti di squali, razze o chimeriformi. Non siamo nemmeno completamente sicuri se l’Elicoprione fosse uno squalo preistorico, o un chimeriforme che ha sviluppato un’anatomia simile a causa di processi di evoluzione parallela, sebbene quest’ultima sia la teoria che va per la maggiore. Come quasi tutti i pesci cartilaginei questa specie ha avuto un notevole successo ed è esistita molto più a lungo della maggior parte delle specie animali che vivono fuori dagli oceani: i primi resti dell’Elicoprione risalgono a circa 300 milioni di anni fa, alla fine del periodo Carbonifero e gli ultimi alla metà del periodo Triassico, più di cento milioni di anni dopo. Resti di questo pesce e di suoi “parenti stretti” sono stati scoperti in Australia, Cina e Nord America.
Da quello che siamo riusciti ad estrapolare dai pochi fossili in nostro possesso, e studiando quelli di animali appartenenti alla stessa famiglia, si pensa che l’Elicoprione potesse raggiungere le dimensioni dello squalo tigre attuale, con una lunghezza compresa fra i due metri e mezzo ed i quattro metri, e che il suo corpo presentasse una marcata somiglianza sempre con gli squali attuali. La caratteristica che lo rende un animale tanto strano e curioso ai nostri occhi è ovviamente la bocca, con la sua apparentemente assurda spirale di denti nella mascella.
La spirale di denti dell’Elicoprione è una delle poche parti dell’animale di cui abbiamo resti fossili in buone condizioni: per anni gli studiosi non sono stati nemmeno sicuri di dove fosse collocata nella testa del pesce, e meno che meno sono stati in grado di spiegarne la presenza ed il funzionamento. Questo ingombrante apparato boccale comunque doveva essere sorprendentemente funzionale, perché non solo, come abbiamo già detto, il genere Helicoprion è stato estremamente longevo, ma conosciamo diversi altri pesci cartilaginei con strutture simili. Fra le teorie avanzate riguardo la funzione della spirale una immagina l’Elicoprione come un predatore durofago, ossia specializzato nel dare la caccia a prede dotate di un guscio o di un esoscheletro coriaceo, quali i nautiloidi ed i trilobiti: secondo questo scenario la spirale di denti si andava ad “incastrare” nel palato dell’animale, contro altri denti lì posizionati, agendo come una mola e frantumando i gusci delle prede. Altri paleontologi sono convinti che i denti fossili in nostro possesso non presentino segni di usura così estesi da giustificare una tale teoria, ed optano invece per uno scenario diametralmente opposto, sostenendo che l’Elicoprione prediligesse calamari ed altri invertebrati “molli”, che venivano ridotti a brandelli, facilitando la digestione. Vista la velocità con cui gli squali, ed i pesci cartilaginei in genere, sono in grado di rimpiazzare denti vecchi o rotti, non si può escludere nessuno dei due scenari.