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M’ammalia: Dino Scaravelli racconta i cetacei in Italia

I cetacei nei nostri mari non sembrano avere vita facile: sono infatti seriamente disturbati dall'inquinamento e dai rumori. E le azioni di conservazione nel nostro Paese sembrano essere sempre più difficili da realizzare

Scritto da Valeria Gatti il 02.11.2012

In Italia vi sono circa 116 specie native tra mammiferi terrestri e marini. A parlarcene in questa settimana a loro dedicata (M’ammalia) sono gli scienziati dell’associazione teriologica italiana, in giro per la penisola, impegnati tra convegni e incontri per far conoscere a tutti il mondo dei mammiferi. In particolare abbiamo intervistato il professor Dino Scaravelli, zoologo, professore di biologia dei vertebrati, nonché di teriologia, la scienza che si occupa dei mammiferi appunto, e di zoologia generale. Gli abbiamo chiesto in particolare come stanno i cetacei nei nostri mari.

Domanda: Anzitutto, nei mari italiani, dove sono maggiormente concentrati i gruppi di mammiferi marini?

Dino Scaravelli: Sicuramente nella zona del Santuario dei Cetacei, anche se si può dire che il Mediterraneo non ha concentrazioni specifiche, ma vi sono piccoli o medi gruppi di cetacei in varie aree. Per esempio il tursiope in Sardegna, nell’alto Adriatico (tra le due coste), intorno al mare di Sicilia, con balenottere nei pressi di Catania. Un’altra area interessante è l’Elba, assieme alle Isole Pontine e al Golfo di Napoli.

D: In un report di Greenpeace si può leggere che dal 2000 in poi il numero degli animali presenti si è più che dimezzato rispetto agli anni ’90. Per gli anni 90 si parla infatti di una stima numerica di “stenelle (32.800 esemplari) e balenottere comuni (830 esemplari) presenti nella zona nel periodo estivo”. Un recente rapporto di Greenpeace ha però documentato un drammatico calo delle popolazioni di cetacei presenti e una inadeguatezza delle misure di tutela messe in atto. I dati raccolti da Greenpeace ad agosto 2008 riportano infatti la presenza solo di un quarto delle balenottere e meno di metà delle stenelle rilevate negli anni novanta. Come si può descrivere la situazione attuale?

D.S.: In effetti quel censimento ha delineato un calo notevole, il dato era sconfortante: Greenpeace segnalava che nonostante le osservazioni i risultati tardavano a venire. Ora è difficile avere dei dati certi. Molto spesso si registra un calo, in altri casi molte specie di animali permangono. Certo è che vi sono molti elementi di disturbo che ancora minano l’ecosistema, come il disturbo sonoro per esempio. La grande quantità di suoni inopportuni diventa per i cetacei un fattore stressogeno; se si pensa che loro vivono cercando sorgenti di esplorazione grazie ai suoni, si capisce quanto la saturazione sonora dell’ambiente marino possa essere dannosa per loro. Si tratta di sperimentazioni militari, navi, industrie.

D: Tornando all’importante parco marittimo naturale che abbiamo in Italia, il Santuario dei Cetacei, come stanno lì gli animali ora, anche alla luce di possibili inquinanti che si sono sparsi in mare dopo il tragico episodio Costa Concordia?

D.S.: Sicuramente il disastro Concordia ha lasciato degli strascichi in zona, anche se ora hanno bonificato tutto. Il problema comunque è più generalizzato, il reale inquinamento è quello che si diffonde ovunque nel mediterraneo, dovuto a scarichi industriali e civili. Qui nel Mediterraneo la concentrazione di inquinanti resta alta, in quanto è un mare chiuso, c’è uno scarso scambio con l’Atlantico.

Balenottera spiaggiata al Conero Foto: Dino Scaravelli

D: In Italia vi sono ancora molti casi di morie e di spiaggiamento dei delfini e dei cetacei in genere. Significa che globalmente il nostro mare non è sano? Quali sono le minacce più grandi per questi animali?

D.S.: Sì, lo spiaggiamento è un fenomeno che continua. Non è solo legato a un discorso di inquinamento, ma anche di morte naturale, di malessere legato a specifiche patologie che colpiscono gli animali, patologie non sempre così semplici da individuare. Qui entra in gioco il discorso della tossicologia, per cui servono forze ed energie per portarlo avanti. A volte gli animali che si arenano sulla spiaggia sono infatti già morti, il processo di degradazione comincia in mare.

D: Uno degli ultimi allarmi: le balene rischiano l’ermafroditismo. Perché? Cosa significa?

D.S.: Le balene sono diminuite in numero, ma l’ermafroditismo non si sviluppa solo per questo motivo. Entrano infatti in gioco alcuni composti inquinanti che modificano gli ormoni. Alcuni di questi composti sono, per esempio, i ritardanti per l’infiammabilità contenuti in alcune vernici, poliaromatici, composti ottenuti da sintesi plastiche. Questi elementi entrano nel sistema naturale andando a interferire con il sistema ormonale, producendo stravolgimenti. La stessa cosa accade in Artide con gli orsi bianchi, qui troviamo una situazione di ermafroditismo conclamato. Gli animali arrivano ad avere malformazioni ai genitali, non si ha più una corretta produzione degli spermatozoi, le gestazioni embrionali non vengono portate a termine o danno vita ad animali ermafroditi a loro volta.

D: La sensibilità delle persone nei confronti del mare, negli ultimi tempi, secondo lei è aumentata o diminuita? Le chiedo questo anche alla luce di massacri di animali, addestramenti di delfini-killer in Ucraina o altri episodi di cui ancora si sente parlare.

D.S.: In genere mi sento di affermare che chi lavora bene con gli animali permette agli animali stessi di stare bene. Il punto è che permane una grande ipocrisia: non si ha una sensibilità globale reale, ma meramente individuale. Ultimamente anche in Italia è esploso un movimento di coscienza animalista, ma fino a che non si fa niente di pratico per la conservazione, non si può parlare di reale sensibilità. La sensibilità si personifica, rientra nella percezione umana della problematica, non naturale e globale. C’è un sentire l’uomo come slegato rispetto alla natura, quando invece dovrebbe esserne totalmente partecipe, sia negli aspetti positivi che negativi. Per esempio alcune persone non vedono l’importanza della conservazione, ma rimangono fermi al dato estetico, alla bellezza che la natura può suscitare. Ma la natura non è solo bella e i delfini non sono solo buoni e carini. I tursiopi selvatici possono diventare anche estremamente crudeli quando uccidono le focene, per esempio, e lo fanno non per cibarsene, ma per puro divertimento.

D: Cosa ne pensa di autori, artisti, fotografi o reporter che offrono le loro opere per la natura? Chris Jordan, per citarne uno?

D.S.: Sicuramente immagini e concetti molto forti sono utili. Ormai si è elevata la soglia di sensibilità: siamo bombardati da immagini orrende in tv o via internet e quasi la gente non ci fa più caso. Quello che è importante sottolineare è che ci vuole continuità anche qui, non dev’essere una tantum, l’attenzione dei media a riguardo è importante e deve mantenersi alta, anche in Italia, dove un certo tipo di diffusione è difficile da sostenere.

D: E riguardo al suo lavoro, come viene vista dai giovani questa professione, visto che lei è anche professore ed è in contatto spesso con loro?

D.S.: In questo settore è sempre peggio. Nel senso che l’immaginario collettivo resta molto “pompato”, si ha l’idea di qualcosa che attrae in modo ludico, invece lavorare nella natura costa fatica. Si tratta di un lavoro duro, che alla fine in pochi sono disposti a portare avanti seriamente. In Germania, ma anche tra i ragazzi inglesi e francesi, già a 25-26 anni per esempio, si ha una sensibilità diversa: là molto tempo viene dedicato alla crescita culturale, c’è un altro sistema e maggiore apertura mentale.

Non si può che concludere con le parole stesse del professor Dino Scaravelli, “la natura è meraviglia”, in attesa di conoscere le sue prossime missioni, che si nutrono di passione, desiderio di conoscenza, conservazione e racconti di strabilianti creature vicine e lontane a noi, tra squali, pipistrelli e immersioni.

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