Come sapete, il DNA è la molecola che codifica le istruzioni genetiche che consentano alle cellule di produrre le migliaia di proteine necessarie allo svolgimento delle funzioni vitali e metaboliche. Questo significa che la sequenza lineare delle basi A, T, C, G del DNA codificante determina la particolare proteina che ciascun gene codificherà (i geni non solo altro che brevi segmenti di DNA).
Peccato che le cose non siano così semplici: nelle cellule degli animali e delle piante c’è molto più DNA di quello che viene usato per codificare le proteine. Di qui il nome di DNA “spazzatura”, un nome davvero improprio visti i più recenti studi. Vi faccio tre esempi derivanti rispettivamente da uno studio condotto sui topi, sulla Drosophila melanogaster e sulle piante.
Un embrione di topo. La zona in rosso indica il DNA codificante. Il resto è junk DNA. (Credit: H. Morrison, MRC Human Genetics Unit, Institute of Genetics and Molecular Medicine, University of Edinburgh).
Facce da junk DNA. Uno studio sui topi, che sfrutta le immagini ottenute grazie ad una sequenza di tomografie ottiche a proiezione, ha dato risultati sorprendenti. Gran parte della morfologia del cranio e del volto dei topi è regolato dal junk DNA; dal momento che le stesse sequenze sono presenti anche negli esseri umani, è molto probabile che anche i nostri volti siano il risultato di catene non codificanti di geni. Gli scienziati sanno da tempo che il tasso di variazione tra i volti umani è elevatissimo e che le somiglianze di famiglia suggeriscono la presenza di vincoli genetici, veri e propri costruttori di forme. Purtroppo, il numero di geni conosciuti in grado di codificare le forme è davvero esiguo. Ecco che ci viene in aiuto il junk DNA. Axel Visel, del Lawrence Berkeley National Laboratory, ha dimostrato che esistono brevi sequenze di DNA, situate in regioni non codificanti del genoma, capaci di influire sull’attività dei geni facciali. Nonostante la loro distanza dalle zone codificanti, la loro azione sarebbe fondamentale per spiegare l’infinita varietà delle forme. Questa scoperta è molto significativa soprattutto se viene messa in relazione con il concetto di novità genetica. Anche qui, il junk DNA gioca un ruolo fondamentale.
Geni da junk DNA. Se cerchiamo di rispondere alla domanda “da dove vengono i nuovi geni?” è possibile che, in alcuni casi, la risposta stia nel DNA spazzatura. Un gruppo di ricercatori della Università della California, Davis, ha infatti dimostrato che è possibile creare nuovi geni dal DNA non codificante in modo molto più veloce rispetto alle previsioni. Da molto tempo la biologia evoluzionista sta cercando di risolvere questo problema. La tesi dominante, proposta da Susumu Ohno, prevede che le nuove funzioni emergano quando gruppi di geni noti sono duplicati e divergono funzionalmente. Qualche anno fa David Begun e colleghi hanno dimostrato che è possibile estrapolare nuovi geni dalle zone non codificanti. Ora, intervenendo sui meccanismi di trascrizione nell’RNA della D. melanogaster è stato possibile dimostrare non solo la presenza di 248 nuovi geni, ma soprattutto che questi geni erano presenti nel DNA ancestrale della specie che, attraverso le pressioni selettive, ha portato la D. melanogaster a differenziarsi dalla D. simulans.
Piante da junk DNA. Le conserved non-coding sequences (CNSs) del DNA nelle piante sono state isolate dai ricercatori del progetto ENCODE (Encyclopedia of DNA Elements) volto a mostrare la polifunzionalità del DNA spazzatura. ENCODE è un consorzio di ricerca pubblico lanciato dall’Istituto di ricerca Nazionale del genoma umano degli Stati Uniti (NHGRI) nel 2003. L’obiettivo è di trovare tutti gli elementi funzionali presenti nel genoma umano, il che rappresenta uno dei progetti più critici dopo aver completato il progetto Genoma Umano. Tutti i dati generati nel corso del progetto verranno rilasciati rapidamente nei database pubblici. I risultati sono sorprendenti: quasi tutti i processi biologici fondamentali delle piante, dalla fioritura passando per i processi di sviluppo, la risposta agli ormoni e la regolazione dell’espressione genica, sono governati dal DNA non codificante.
Le pubblicazioni di ENCODE potete trovarle su Nature, Genome Biology e Genome Research. Riassumo. Sappiamo che circa il 20% del DNA non codificante nel genoma umano è funzionale; il 60% è trascritto ma non presenta alcuna funzione per ora nota. La maggior parte di questo DNA non codificante funzionale è coinvolto nella regolazione dell’espressione di geni codificanti. Inoltre l’espressione di ogni gene codificante è controllata da interruttori multipli situati a qualunque distanza dai geni interessati. Insomma, la regolazione genica è molto più complessa di quanto previsto. Il junk DNA non smetterà di sorprenderci.
Bibliografia:
National Human Genome Research Institute (si veda www.genome.gov/10005107)
Catia Attanasio et alii., Fine Tuning of Craniofacial Morphology by Distant-Acting Enhancers, in “Science”, Vol. 342 n. 6157, 2013: http://www.sciencemag.org/content/342/6157/1241006
Li Zhao et alii., Origin and Spread of de Novo Genes in Drosophila melanogaster Populations, in “Science”, Vol. 343 n. 6172, 2013: DOI: 10.1126/science.1248286