Gaianews

Genoma umano, il ‘Dna spazzatura’ non è poi così inutile

Scritto da Paolo Ferrante il 05.09.2012
Dna spazzatura è in realtà utile. Crediti: Progetto ENCODE

Dna spazzatura è in realtà utile. Crediti: Progetto ENCODE

Il genoma umano, la somma totale di informazioni ereditarie presenti nel DNA di una persona, contiene molte più informazioni che quelle presenti nei geni codificanti le proteine. Al contrario di quanto abbiamo studiato a scuola, sembra che i ricercatori abbiano scoperto che il cosiddetto ‘DNA spazzatura’ in realtà è molto più importante di quanto pensato finora.

La scoperta è stata possibile grazie ad un progetto internazionale finanziato dagli Stati Uniti e chiamato Enciclopedia degli elementi di DNA (ENCODE), un imponente progetto internazionale.

Quando i ricercatori hanno deciso di sequenziare il genoma umano alla fine del 1990, si sono concentrati sulla ricerca solo di quei geni che sono in grado di codificare tutte le proteine necessarie alla vita. Ogni gene è un pezzo di DNA, ordinato in base alle basi – le famose “lettere” che sono i mattoni del DNA.

Gli scienziati, decifrando il genoma umano, hanno però scoperto che i geni codificanti erano solo il 3% dell’intero genoma. Erano miliardi le altre basi ancora sconosciute alla scienza, e che erano ritenute inutili, una sorta di residuo fossile della creazione.

Ora un progetto finanziato dagli USA, chiamatoENCODE, ha scoperto che molte di queste basi svolgono comunque un ruolo nella biologia umana: esse consentono di determinare quando un gene è acceso o spento (ossia è codificante per una proteina o meno), per esempio. Questa regolazione è ciò che fa comportare una cellula specializzata nel modo corretto (una cellula cerebrale continua a fare la cellula celebrale senza diventare una cellula renale).

“C’è molto di più da scoprire nel genoma umano”, ha detto Mark Gerstein, un bioinformatico alla Yale University.

Le intuizioni di questo progetto stanno aiutando i ricercatori a comprendere i legami tra genetica e malattie. “Stiamo affrontando gli studi sulle malattie in un modo che sarebbe stato molto difficile da fare altrimenti”, dice Ewan Birney, un bioinformatico presso il Istituto europeo di bioinformatica in Hinxton, Regno Unito, che ha guidato il progetto ENCODE.

La ricerca è comparsa sulla rivista Nature.

© RIPRODUZIONE RISERVATA