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Il diritto – dovere di morire

Scritto da Maria Rosa Pantè il 05.12.2011

Il centauro Chirone, metà uomo metà cavallo, era saggio, era un educatore: aveva allevato Ercole e Achille. Era anche una divinità, dunque era immortale. Quando fu ferito da una freccia avvelenata, Chirone fu preda della disperazione. La ferita era infetta e puzzava. Insieme al dolore cominciò la solitudine abissale di chi non ha mai pace, di chi si sente abbandonato dalla voglia di vivere. Chirone, infatti, voleva morire, ma non poteva giacché era immortale. Quanto gli pesavano le ore di sofferenza; lui che era stato un maestro, amato dagli allievi, ora era solo, nemmeno i più cari amici potevano a lungo sopportare il fetore velenoso della sua pestilenziale ferita.

Chirone voleva morire. Ci riuscì: cedette la sua immortalità, non più un dono, ma un terribile peso, a Prometeo, e finalmente poté morire, estinguere così il dolore fisico e la sofferenza sorda, confusa, insopportabile della disperazione.

Talvolta vivere non è più un’occasione, ma è favvero un peso terribile.

Quando ho letto della scelta del suicidio assistito da parte di Lucio Magri, ho pensato a due cose. In primo luogo ho pensato con consolazione alla possibilità di un suicido assistito anche per me, quando fossi come lui, invecchiata e soprattutto sola, senza l’amore della mia vita. Ho pensato che avrei potuto, mettere da parte una piccola cifra ogni giorno, un gruzzoletto per il futuro, sembra sarcasmo, ma non lo è, per me, è realismo.

Anche se, da quel che so del mio carattere, forse non approfitterei mai di tale occasione, ma mi basterebbe sapere che esiste per trovare la forza di andare avanti ancora un giorno e poi un altro e forse un altro ancora…

Il secondo pensiero mi ha portato a un bel libro di Ben Jelloun, scrittore marocchino, in cui parla della madre malata di Alzheimer e della sua lunga agonia, fino alla morte. Ma non solitaria, ma non solo dolorosa e la mette a confronto, senza mai giudicare, alla situazione di un’amica, coetanea della madre, che vive in una casa di riposo svizzera. Qui, ogni mattina, trova sul suo comodino una bevanda che potrebbe portarla dolcemente alla morte. Può scegliere ogni mattina se vale la pena vivere ancora un giorno.

I miei genitori sono morti con me accanto. Mio padre voleva morire, si rifiutava infatti di mangiare, e io l’ho lasciato andare senza pensare mai di dargli l’alimentazione artificiale. Mia madre è morta in fretta per un infarto ribellandosi alla morte fino alla fine. La morte, come già ho avuto modo di scrivere, è cosa sacra e personale, la faccenda più sacra e personale della nostra vita, perché nascere è un fatto a due, morire no!

Si dice che qualcuno si sceglie la propria morte. Io credo sia un pensiero azzardato. Anche nel caso di un suicidio assistito, la morte giunge guidata dal destino, da Dio o dalla Parca che taglia il filo della vita di ognuno.

 

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  • rosege scrive:

    Capitata per caso sul sito Gaianews leggo le testimonianze qui riportate. Ho una mamma con l’Alzh, la seguo e cerco di starle vicina da circa 10 anni. Dapprima con interferenze protettive leggere per compensare le sue “vacanze”. Quindi con interventi e presenze coadiuvanti sempre più indispensabili. Riassumo con termine grezzo e disperato,la Mamma è ora un vegetale. Ricoverata in RSA. E’ passato il tempo delle passeggiate assistite, dei dialoghi farfugliati e intuiti. Lei rimane immobile e dimentica di sè, qualche rara volta sorride per un lampo di tempo. In quell’attimo nei suoi occhi rivedo la mia Mamma al completo: il suo dire, il suo fare, il suo essere. Per me chiedo disperatamente la possibilità di poter scegliere fino al momento in cui ne sarò consapevole. Grazie per l’ospitalità. R.