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L’alba del pensiero, puntata 35. Religione e Fede secondo Soren Kierkegaard

Scritto da Alba Fecchio il 03.06.2011

Alba del pensiero - rubrica settimanale di filosofia e natura
Parlare della questione religiosa in Soren Kierkegaard è sempre molto complesso, un po’ per lo stesso argomento trattato, un po’ perché l’autore ne parla assai spesso e con caratteri un po’ diversi da opera a opera.

In generale, però, possiamo però dire che i termini che più spesso vengono usati sono: paradosso, scandalo, assurdità..

Quella di Kierkegaard è una critica dall’interno al cristianesimo. Egli è un pesatore estremamente religioso, ma razionalmente convinto che vi siano degli errori e dei limiti in come la Chiesa, istituzione religiosa, tratti la fede e la religione stessa.

Per questa ragione sosterrà che la Chiesa sia uno “ strumento i addormentamento delle coscienze”.

Argomentiamo questa affermazione partendo dalle opere.

Timore e tremore, testo del 1843, è una riflessione biblica sulla persona di Abramo che diviene il simbolo dell’espressione religiosa: egli è posto di fronte ad una scelta drastica, salvare il figlio o fare la volontà di Dio. Dio chiede infatti ad Abramo di sacrificare il figlio Isacco: dal punto di vista etico, ciò è inaccettabile. Gli chiede di compiere un atto sconvolgente rispetto alla norma che regola gli uomini.

Da questo avvenimento, Kierkegaard trae la prima conclusione: la religione non ha nulla a che fare con le nostre abitudini umane, la nostra società civile. Essa, al contrario, molto spesso può metterci in conflitto con la società stessa, in conflitto con i nostri cari. Utilizzando i parametri etici infatti, la religione, o sarebbe meglio parlare di fede, atto che un singolo individuo decide di compiere, si presenta come atto irrazionale, sconvolgente ed estremo. Per quanti sforzi possa fare l’uomo, Dio resta del tutto incomprensibile. Un Dio umanizzato, addolcito, come quello presentato dalla Chiesa dei benpensanti, è troppo poco. E’ un errore di valutazione. E’ una semplificazione volgare di ciò che Dio in realtà è. Il vero cristiano deve porsi ad un livello più alto, deve cessare di voler comprendere e giudicare la volontà di Dio, essa è imperscrutabile e lo resterà.

Ecco che entra quindi in gioco la parola Fede. Cos’è la fede quindi? La fede è un salto per Kierkegaard che una singola persona può voler compiere: io, singolo individuo, non capisco ciò che Dio vuole da me, ma ne ho fiducia, anche se non lo capisco lo accetto, esattamente come ha fatto Abramo, rimettendosi totalmente alla volontà del Signore. Kierkegaard per questa ragione si opporrà fortemente al battesimo agli appena nati. Il cristianesimo non è una tradizione, un insieme di buone dottrine morali. Esso prevede e deve prevedere una scelta personale: il battesimo, se compiuto infatti da bambini, non ha alcun senso. Non è una scelta, è un’imposizione.

La fede, al contrario, si presenta come un atto estremo, giudicato umanamente come assurdo e privo di logica.

Kierkegaard è assolutamente convinto che la Fede mi chieda di sospendere l’uso della mia intelligenza e questo in favore di qualcosa che non so. La fede non darà alcuna certezza al vero fedele: il fedele progetta la sua vita su una realtà che non ha dimostrazione. “ L’uomo deve progettare la sua vita come se Dio esistesse”. Soltanto dopo la more, forse, l’uomo saprà la verità. La fede in tal senso assomiglia ad un delirio: nessun vero credente vive in pace con se stesso ma porta dentro di sé l’angoscia di non sapere e il timore che dietro tutto questo, dietro la sua scelta, non vi sa nulla.

Un esempio di come la fede debba essere sentita su di sé, il nostro filosofo la ritrova nel testi biblici. Prendiamo l’ultima notte di Gesù al Getsemani. Egli è un uomo che ha paura e si ritira a pregare in solitudine. Sulla croce poi arriverà a dubitare della sua scelta, tanto da pronunciare parole durissime rivolte perso il cielo: “ Padre, perché mi ha abbandonato?”

Ciascun vero credente, secondo Kierkegaard, vive tutto questo. La fede è angoscia, non serenità e pacificazione. E’ un esperienza talmente estrema che non può in assoluto essere compiuta collegialmente, ma solo singolarmente: il rapporto tra uomo e Dio avviene in solitudine.

Ecco perché se la prende con la Chiesa: essa è un’istituzione vacua e costituita solo al fine di assoggettare gli uomini al proprio volere terreno. La fede non è un antidoto all’angoscia o alla disperazione, come viene presentata abitualmente. E’ una scelta estrema, che solo pochi coraggiosi, in solitudine, possono compiere.

Il nostro filosofo, pur essendo un fermo credente e praticante, rifiutò, per coerenza, l’estrema unzione.

Quello di Kierkegaard non è anticlericalismo in senso stretto, come da molti è stato sostenuto. E’ una reazione arrabbiata a ciò che vede intorno a sé, alla finzione e all’illusione d una fede pacificatrice. E’ quello che in altri termini sosterrà Dostoevskij nei Fratelli Karamazov quando narra le vicende di Gesù che torna sulla terra dopo 1800 anni e non viene riconosciuto da nessuno, anzi sbeffeggiato. Il prete, l’unico ad averlo riconosciuto pronuncia queste acre parole con le quali chiudiamo la puntata di oggi:“Ti ho riconosciuto benissimo, ma non sulla piazza del paese tra i fedeli, perchè tu sei un rinomato piantagrane. Bene o male siamo riusciti a mettere in piedi una bella organizzazione, e tu ne mineresti le fondamenta solide: metà della Terra è convertita, l’altra metà lo sarà, prima o poi. Devi solo aspettare lassù, non è necessario che tu venga qui. Noi ce la caviamo benissimo: quando c’eri tu, non sei riuscito a convertire un solo Uomo, noi abbiamo fatto un lavoro fantastico, dovresti esserci riconoscente..ora vattene non tornare più, la Terra pullula di chiese e di preti che predicano la tua parola..qualunque cosa tu voglia fare, noi siamo i tuoi agenti, la puoi benissimo fare attraverso noi! Non girare liberamente tra le masse, sei pericoloso!”.

Il film che vi consiglio questa settimana è Todo modo, tratto dal omonimo romanzo di Sciascia. Diretto da Elio Petri.

 

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  • luci scrive:

    Le parole di Dostoevskij, messe in bocca al prete nei “Fratelli Karamazov”, riassumono molto bene la questione posta dal cristiano filosofo Kierkegaard.
    Posso aggiungere il mio modesto parere dicendo che il fallimento della Chiesa, dopo 2000 anni di storia, è da attribuire proprio nell’imporre ai fedeli una fede di cui lei stessa ha dimostrato di non avere.
    Se Gesù tornasse quanti mercanti dal Tempio dovrebbe cacciare?

    Luci