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Marcuse e il 1968

Scritto da Alba Fecchio il 23.02.2012

Alba del pensiero - rubrica settimanale di filosofia e naturaHerbert Marcuse è l’ultimo filosofo della Scuola di Francoforte, della stessa generazione di Adorno e Horkhaimer. Con questi, Marcuse condivide l’idea di una modernità degenere e una tecnologia utile solo ad affermare il dominio del più forte sugli altri individui.

La storia personale di Marcuse è assai affine a quella degli altri partecipanti all’Istituto per la ricerca sociale. Infanzia difficile, studi bloccati più volte per aiutare la famiglia, migrazione obbligata dll’ascesa del Nazismo e conseguente fuga negli Stati Uniti. Già nel 1940, in realtà, Marcuse prende la cittadinanza americana. A differenza di altri studiosi, non tornerà mai più a vivere in Europa, ci si recherà solo per conferenze e seminari, preferibilmente in terra tedesca.

Gli anni 1968 e 1969 sono fondamentali per Marcuse. Egli viene elevato a Vate ispiratore dagli studenti in rivolta, tanto che una sua frase “E’ solo per merito dei disperati che ci è data una speranza”, può essere considerata il motto delle proteste sessantottine.

Marcuse è quello che più di tutti fu influenzato del pensiero di Freud. Il sistema freudiano si basa sull’idea che gli uomini moderni debbano reprimere i propri istinti per restare, vivere ed essere accettati in società. Si passa quindi da un principio di piacere (poter, in parole povere, poter fare ciò che si vuole) ad un principio di realtà ( dover fare qualcosa per necessità). La società in tal senso opererebbe una modificazione obbligata sugli istinti dell’uomo dirottandoli dall’estetica (intesa come arte, ma anche come vita sessuale) al lavoro. L’uomo è cioè costretto a sublimare i propri bisogni reali perché considerati dalla collettività deplorevoli.

In linea generale Marcuse accetta il ragionamento dell’iniziatore della psicanalisi, ma si pone una domanda fondamentale: il processo sublimale descritto da Freud è qualcosa di intrinseco alla società e alla sua evoluzione, oppure è una fase transitoria – può cioè essere modificata tale situazione?

La risposta trovata da Marcuse è che la repressione degli istinti sia legata a uno specifico meccanismo che si applica soltanto in determinate condizioni sociali. La divisione del lavoro, la forbice di ricchezza, i beni distribuiti in modo iniquo, non sono una realtà immodificabile. Anzi. Queste sono le conseguenze dirette di una cattiva gestione della crescita e di un’organizzazione sociale irrazionale. Marcuse parla di “assetto transitorio del dominio”.

Al principio di realtà, Marcuse delinea anche il principio di prestazione, altro motivo di oppressione per l’uomo: l’individuo è tartassato dal mondo che lo circonda da cose non solo cui dover sottostare, ma anche cose che devono ad ogni costo essere svolte nel modo migliore possibile. Ci sono delle aspettative su di noi e queste non possono essere eliminate. Ciò aggiunge ansia nella quotidianità delle persone, che non riescono a vivere serenamente le proprie esperienze.

E’ necessario modificare alla base la struttura della società, sperando in una rivoluzione che tenti di eliminare gli aspetti consumistici e deleteri della società capitalistica stessa. Di fondo c’è l’utopia che prima o poi l’eros, che sta alla base degli impulsi umani, venga nuovamente liberto e lasciato fluire. Dall’uomo alienato è possibile vedere in nuce l’emergere del suo esatto opposto: l’uomo nuovo, libero di esprimere se stesso e i propri istinti naturali, senza il pericolo di essere ingabbiato e sfruttato dal capitalismo.

Il film che vi consiglio oggi è The Iron Lady, di Phyllida Lloyd.

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