Evidentemente avevo fatto i conti senza l’oste quando ho commentato il documento delle associazioni ambientaliste non firmato da Legambiente.
Era chiaro ovviamente che vi fosse disaccordo, ma non mi sarei mai aspettato una siffatta replica del Presidente Cogliati Dezza in cui ho ritrovato antiche e ridicole accuse, che un tempo erano gli avversari dei parchi a rivolgere proprio agli ambientalisti; giovani marmotte, Walt Disney insomma quanto di peggio offre già il panorama politico da cui è bene stare il più possibile alla larga.
Il tutto ruota intorno al testo di legge in discussione al Senato che i firmatari dell’appello considerano un rischio mentre Legambiente, ma anche il presidente di Federparchi ritengono che un po’ di manutenzione serva a togliere incrostazioni e velocizzare le cose etc.
Si è anche aggiunto che ‘agricoltori ed enti locali non sono il lupo cattivo’. E già qui c’è qualcosa di strano tanto più dopo le dichiarazioni dell’associazione degli agricoltori, che rivendica l’esigenza e l’urgenza di una modifica della legge quadro perché lascia uno ‘spazio residuale’ all’ agricoltura. Di cosa stiamo parlando? Le finalità del parco –ossia la tutela ambientale del territorio- è affidata ad un piano ambientale ed anche ad uno socio-economico che non fa alcun riferimento specifico né alla agricoltura, né al turismo, né alla pesca, né al turismo in quanto è volto a garantire che tutto ciò che avviene all’interno del parco e ai suoi confini -e non soltanto sul piano economico, ma anche sociale-deve essere ecocompatibile.
In questo senso il parco assumeva ed ha assunto un ruolo non di settore, ma di governo complessivo del territorio. E proprio l’agricoltura all’interno dei parchi testimonia e conferma il senso preciso di questa scelta non settoriale della legge quadro. Per essere più concreto e meno vago vorrei ricordare che al momento dell’entrata in vigore della legge quadro, ma già prima nei più importanti parchi regionali –io mi riferisco agli 80-90 quando ho fatto il vicepresidente del parco di San Rossore che dei 21000 ettari ne aveva e ne ha 7000 agricoli- il mondo ambientalista considerava l’agricoltura allora al massimo dell’inquinamento qualcosa di cui era meglio liberarsi anche con la fuga dai territori. Noi al contrario ritenemmo che in coerenza e conformità a quelle finalità che comportavano anche la lotta all’inquinamento del territorio e dei suoi prodotti dovevamo puntare –e pretendere- una agricoltura diversa e cioè senza veleni per un ambiente pulito e sano. Lo facemmo d’intesa con le rappresentanze degli agricoltori e del nostro comitato scientifico non senza contrasti, ma con approdi positivi.
Valse e vale per l’agricoltura oggi più che mai visto che anche l’Unione Europea sta finalmente puntando su politiche ecostenibili, ma vale anche per il turismo, per la pesca. Qui la 394 va benissimo, semmai il piano deve ritrovare anche il paesaggio perso per strada dopo il nuovo codice dei beni culturali e una maggiore unitarietà riconducendo anche il piano socio-economico a quello ambientale. Ma qui bisogna essere chiari; la legge 394 non ha ostacolato alcunché e semmai fanno danno alcune ipotesi del testo del Senato che sembrano assegnare un ruolo ai parchi di predisposizione o accettazione di attività che non competono al parco, ma ad altri soggetti istituzionali e di categoria. Perché dovremmo avvalerci di certe rappresentanze all’interno dei parchi e non di altre; penso al turismo, all’educazione ambientale e così via.
A questo punto però quello che resta in ombra di questo confronto così aspro non è tanto il giudizio sul testo del senato sebbene sorprenda il silenzio sulle prime modifiche della legge che riguardano le aree protette marine, ma la politica generale verso i parchi.
Il silenzio di Legambiente ed anche di Federparchi sulle aree protette marine è inspiegabile e grave. Legambiente è da sempre molto impegnata nel settore con tanto di protocolli, presenze al Salone nautico di Genova, golette verdi, ma sembra gli vada bene che le regioni diversamente da quanto prevede ora la 394 non possano più dotarsi di loro aree protette nei tratti di mare prospicenti. Sarebbe questa la manutenzione, la velocizzazione, togliere le incrostazioni? E sarebbe questo cha va fatto dopo il Giglio e le vicende dell’Arcipelago? Allora appare chiaro che prima di sbudellarci sulla legge va detto cosa bisogna fare per i parchi, ossia prima di quale legge, quale politica. Non sorprende che tutte quelle situazioni di crisi dei parchi -e non solo per i tagli- finora non figurano in alcuna richiesta, proposta del tipo di quelle che i comuni, le province, le regioni stanno discutendo e confrontando con il governo? Possibile che non si veda cosa sta succedendo in gran parte delle regioni? Dove poi Legambiente veda i nemici oltre che degli agricoltori degli enti locali mi è difficile capire. Se le aree protette marine diventeranno appannaggio esclusivo del ministero non saranno per primi a soffrine gli enti locali oltre ai parchi?
Lasciamo perdere i lupi e bamby e vediamo se non ci accontentiamo con i tempi che corrono di bisticciare sugli emendamenti mentre la politica continua a fregare i parchi.
Renzo Moschini