Il passaggio di mano dalla Prestigiacomo a Clini aveva creato anche -ma non solo- per i parchi e le aree protette, aspettative e speranze dopo le cocenti delusioni di una gestione ambientale tra le più rovinose che si ricordi.
Finora purtroppo la situazione non presenta cambiamenti di rotta significativi, se non per una maggiore considerazione e attenzione a situazioni dissestate e commissariate. Troppo poco tuttavia per poter considerare questo l’avvio di una svolta e di un rilancio che resta una esigenza improrogabile.
Se c’è un aspetto tuttavia che va profilandosi con maggiore chiarezza rispetto anche al recente passato è che il persistere di una situazione a rischio non può dipendere certo, nè principalmente, né tanto meno esclusivamente, dai limiti della legge che per questo dovrebbe –si dice- essere modificata se vogliamo rimediare ai nostri guai. Nonostante tutte le manfrine anche ipocrite che hanno in qualche caso finito inopinatamente per mettere sul banco degli imputati anche molte associazioni e sigle ambientaliste accusate nientemeno di favorire –pensa te- il centralismo, è sempre più chiaro che la legge c’entra poco o niente e c’entra invece molto la politica, la sua gestione con le sue tante, troppe, inadempienze istituzionali che nessuno può oggi nascondere né al senato né nel paese.
Del resto basta guardare al panorama regionale per avere conferma che i guai per i nostri parchi nazionali ed anche regionali non derivano dalla legge, ma dalla mancanza di una politica nazionale di sistema –prevista e voluta dalla legge- ma mai attuata con convinzione. Le inadempienze del ministero ormai privo persino delle sedi e degli strumenti di gestione che la legge prevedeva, ma poi abrogati e mai ‘rinnovati’ sebbene il Bassanini lo stabilisse, hanno fatto venir meno qualsiasi raccordo con i parchi regionali di cui anche un ministro aveva chiesto d’altronde l’abrogazione.
Ora in tutta una serie di regioni i parchi sono a rischio non solo per i tagli pesanti –come in Piemonte- ma anche di riorganizzazioni non ‘istituzionali’, ma ragionieristiche che nulla hanno a che fare con il loro ruolo, anzi lo penalizzano pesantemente.
Ecco perché oggi urge una adeguata e non più rinviabile politica di rilancio che non dipende in alcun modo dalla legge, ma da quello che sapranno e dovranno fare il ministero, le regioni e gli enti locali. Chi ha responsabilità per come sono andate le cose negli ultimi tre anni si può capire che preferisca rifarsela con la legge come scusa; ma gli altri? Davvero credono che qualche aggiustamento di emendamenti magari sui cinghiali sia la condizione per ripartire e rimediare ai danni e in più d’un caso anche a veri e propri misfatti; vedi le aree marine protette e il santuario dei cetacei?
Perché con il nuovo governo si sono istituiti tavoli dove le Regioni, l’ANCI e l’UPI discutono delle loro questioni e per i parchi al momento non c’è nulla di simile all’orizzonte? Era stata richiesta addirittura la terza Conferenza nazionale dei parchi che nessuno né prima né ora sembra voler prendere in considerazione. Vogliamo almeno parlarne ad un tavolo dove i parchi, le regioni, gli enti locali ,il mondo scientifico e dell’associazionismo possano finalmente fare il punto e decidere il da farsi? O preferiamo che continuino a girare le idee più balorde e grottesche tipo l’affidamento al CFS della gestione dei parchi come abbiamo sentito proporre al Congresso di Federparchi? Visti anche i risultati deludenti di Rio non è il caso di mettere mano a qualcosa di più serio di qualche ‘manuntezione’ normativa sfasciacarrozze? Noi ci stiamo lavorando in vista del nostro appuntamento nazionale del Gruppo di San Rossore Per il rilancio dei Parchi fissato per 21 settembre in San Rossore dove vorremmo mettere a confronto posizioni e impegni.