Un nuovo studio sottolinea la necessità di prudenza nell’uso della chemioterapia palliativa nei pazienti con tumori avanzati e sottolinea l’urgenza di una discussione più chiara ed equilibrata per quanto riguarda danni e benefici di queste terapie.
ll Weill Cornell Medical College e il Dana-Farber Cancer Institute hanno trovato risultati che fanno riflettere rispetto ai pazienti che si sottopongono a chemioterapia palliativa, un trattamento in grado di prolungare la sopravvivenza e alleviare i sintomi, ma non di curare la malattia.
Dai dati emerge infatti che quasi il 66 per cento dei pazienti che non sono stati sottoposti a chemioterapia palliativa sono morti in casa, rispetto al 47 per cento dei pazienti che invece hanno ricevuto il trattamento e che hanno avuto più probabilità di morire in un reparto di terapia intensiva.
“Fino ad ora, non c’è stata evidenza di effetti dannosi della chemioterapia palliativa negli ultimi mesi di vita. Questo studio è un primo passo verso la prova che dimostra gli esiti negativi che si possono determinare con questo tipo di trattamento. Sono necessari però studi ulteriori studi per confermare questi preoccupanti risultatim” ha detto Holly Prigerson, autore senior dello studio.
“Spesso aspettiamo che i pazienti finiscano la chemioterapia prima di chiedere loro dove e come vogliono morire, ma questo studio dimostra che dobbiamo sensibilizzarci prima sulle loro preferenze sul tipo di cura che vogliono quando sono prossimi alla morte, ” ha detto il dottor Alexi Wright, del Dana-Farber Cancer Institute.
Gli scienziati hanno analizzato i dati di 386 malati terminali fino alla loro morte. Durante lo studio, condotto nell’arco di sei anni, hanno esaminato come i fattori psicosociali abbiano influenzato le cure dei pazienti. Nel mese successivo alla loro morte hanno valutato la qualità della vita , e se il luogo della morte fosse stato quello voluto dal malato. In seguito hanno determinato il tipo di cura che i pazienti avevano effettivamente ricevuto nella loro ultima settimana di vita.
“La ricerca evidenzia la necessità di una comunicazione più efficace da parte dei medici con i malati terminali per capire le loro volontà”, ha affermato Prigerson. “I pazienti devono compiere scelte informate sulla loro cura, hanno bisogno di sapere se la loro malattia è incurabile, capire quale sia la loro aspettativa di vita e sapere che la chemioterapia palliativa non è destinata a curarli che non può sensibilmente prolungare la loro vita e chepuò comportare effetti molto aggressivi”.