Il continuo mutamento del mondo on-line si traduce spesso in un “sovraccarico” mentale a scapito della conservazione della memoria a breve termine. Questo è quanto sostengono i ricercatori del Royal Institute of Technology (RIT) a Stoccolma, Svezia. Alla fine, questa perdita di inattività del cervello può alterare i processi cerebrali e il modo in cui i ricordi a breve termine sono recepiti nella memoria a lungo termine.
Precedenti ricerche hanno indicato che la nostra memoria a breve termine, nota anche come “memoria di lavoro”, è in grado di ospitare fino a quattro stimoli diversi contemporaneamente. Una volta che questo limite viene superato, l’efficienza e la qualità del lavoro mentale comincia a declinare.
“La memoria di lavoro ci permette di filtrare le informazioni e di trovare quello che ci serve nella comunicazione,” ha detto ai giornalisti l’autore dello studio Erik Fransen. “Ci permette di lavorare online e memorizzare ciò che troviamo, ma è anche una risorsa limitata”.
Tuttavia, anche i web design più minimalisti e i layout tendono a caratterizzare stimoli di gran lunga superiori alle possibilità della nostra memoria di lavoro. Facebook, YouTube e altri social media sono siti in cui pubblicità e contenuti si trovano in un unico “campo di informazioni” che deve essere interpretato da parte dell’utente.
Fransen ha spiegato. “Quando si tenta di elaborare le informazioni sensoriali come il linguaggio o il video, abbiamo bisogno in parte dello stesso sistema di memoria di lavoro, quindi riduciamo la nostra capacità di memoria a breve termine. E quando tentiamo di memorizzare troppe cose, otteniamo meno per quanto riguarda l’elaborazione delle informazioni”.
Inoltre, sovraccaricare la memoria di lavoro può comportare una perdita di inattività importante. Contrariamente alla saggezza folcloristica, i nostri cervelli sono progettati per passare dall’ozio all’azione, in quanto questo facilita il rilassamento e la pulizia cerebrale. Gli scienziati ritengono che questa oscillazione sia necessaria per promuovere la comunicazione tra memoria a breve e lungo termine.
Dunque la soluzione per Fransen e il suo team sta nel buon senso e nelle giuste dosi, ovvero regalare al nostro cervello momenti di ozio ed evasione dall’incessante lavoro a cui è sottoposto.