ROMA – Recentemente, tra i sussulti della maggioranza e della crisi di Governo, il Parlamento ha dato il via libera al cosiddetto “Decreto sviluppo bis”, ribattezzato ”Agenda digitale”. Esso prevede, tra l’altro, interventi per la diffusione della cosiddetta banda larga, per favorire per l’espansione della telefonia mobile attraverso la tecnologia Long Term Evolution (LTE), che può raggiungere velocità di connessione wireless anche superiori a 1 Gb/sec.
La norma, fra l’altro, prevede una sorta di liberalizzazione delle procedure per la diffusione e il potenziamento delle stazioni radio-base, per cui la legge lascia mano libera ai gestori delle telecomunicazioni. In effetti, il nulla osta è sostituito da un attestato di conformità del gestore e l’operatore ha la possibilità di accedere liberamente nelle proprietà private per istallare e fare manutenzione agli impianti.
Tuttavia, l’aspetto più preoccupante riguarda i controlli sui valori di attenzione che la nuova norma prevede di misurare, non più nell’arco di 6 minuti, bensì come media dei valori sulle 24 ore. E’ noto che le stazioni radio-base (SRB) modificano la loro capacità di trasmissione in modo dinamico, incrementando la potenza delle antenne, in funzione del traffico e della distanza dei ricevitori cellulari. Comunque l’uso dei telefonini, degli smartphone, dei tablet, si concentra in alcune ore della giornata, mentre nelle ore notturne la riduzione del traffico produce una diminuzione dei valori di diffusione delle radiofrequenze. Secondo quando potrà scaturire dalla nuova norma, un campionamento ritardato nell’arco nelle ventiquattro ore comporterà una media tra picchi molto alti d’inquinamento radioelettrico delle ore diurne, con i valori molto attenuati delle ore notturne facendo, in tal modo, rientrare il valore medio di sotto la soglia di 6 V/m.
Curiosamente, in un “pilatesco” ordine del giorno della Camera dei deputati, che impegna il Governo a verificare l’impatto che l’art 14 del DDL Sviluppo avrà sulla piena applicazione del principio di precauzione, a garanzia della salute pubblica, si legge che “il provvedimento prefigura il rischio di un allentamento dei procedimenti amministrativi finalizzati alle verifiche preventive e ai controlli di carattere sanitario in materia di elettrosmog, che va ad incidere sulla piena applicabilità del principio di precauzione di cui all’art. 174 paragrafo 2 del trattato istitutivo dell’Unione Europea e recepito dalla Legge Quadro 36/2001”.
Ma il telefono cellulare e le sue più differenti manifestazioni tra cui iPad, iPhone, palmari, smartphone, è stato identificato come “il più prolifico dispositivo di consumo” mai commercializzato. Non è un caso, infatti, che entro il 2012 si sfioreranno i 6,6 miliardi di abbonamenti e, come affermato dall’amministratore delegato di una nota azienda telefonica, “noi italiani siamo molto aperti all’utilizzo di nuovi processi e nuove tecnologie”. Fra l’altro, sembra che il motivo principale dell’avvento della tecnologia LTE sia di poter vedere sugli smartphone filmati in maniera chiara e senza interruzioni, condividendoli su Social Network come Facebook e Twitter, oppure vedere un film in streaming sul Frecciarossa o su Italo che viaggiano alla velocità di oltre 200 chilometri l’ora.
Così come emerso nel convegno del 13 novembre scorso, organizzato dall’International Commission for elettromagnetic Safety (ICEMS), dal Dipartimento di Biologia Ambientale dell’Università Roma Tre, dal Dipartimento di Ecologia e Biologia dell’Università della Tuscia e dall’Associazione A.M.I.C.A., “questo nuovo sistema di misurazione porterà a una sottovalutazione dei valori riscontrati pur mantenendo il limite di 6 volt per metro, perché i picchi rilevati oggi in 6 minuti saranno diluiti in 24 ore”. La nuova norma, quindi, sarebbe in contrasto con il principio di precauzione previsto dalla legge 36/2003 e con le risoluzioni del Consiglio d’Europa, tra cui quella del 27 maggio 2011 che invita i paesi membri a fissare limiti cautelativi di esposizione alle microonde che non superino 0,6 volt per metro e nel medio termine di ridurre questo valore a 0,2 Volt per metro.
Oltre a quanto sostenuto da vari esperti in materia, si ricorda quanto scritto dal capo dell’Ufficio Rischi della compagnia svizzera di assicurazione Swiss Re, in un documento ufficiale – riportato nel volume inchiesta “Toglietevelo dalla testa” curato da Riccardo Staglianò: “La vita è basata su complessi sistemi di segnali e risposte e un organismo può convertire segnali deboli in risposte biologiche potenti”. Per questo la pericolosità dell’esposizione ai campi elettromagnetici resta una materia controversa e “non ci può essere una base di calcolo sulla quale fornire protezione assicurativa perché, stando così le cose, il rischio e incalcolabilmente grande”.
Nel maggio 2012, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), sulla base di studi epidemiologici, ha inserito i campi elettromagnetici di radiofrequenza nella classe 2B, identificandoli come possibili cancerogeni; una classificazione che la IARC traduce in un’evidenza sufficiente per l’animale da esperimento ma inadeguata per l’uomo. Sulla base di tale accorgimento, organi e istituzioni di ricerca scientifica ritengono pertanto che non sussistano evidenze scientifiche che dimostrino un nesso di causalità certo tra esposizione a campi elettromagnetici a radiofrequenza e l’insorgenza di patologie tumorali nell’uomo.
Al riguardo, è paradossale costatare come, nonostante i grandi progressi della fisica quantistica del secolo scorso, le ricerche biomediche ignorino ancora il ruolo decisivo svolto dai campi elettromagnetici come fonti d’informazione nei sistemi biologici; d’altro canto il Servizio Sanitario Nazionale impegna imponenti risorse finanziarie e umane nell’acquisto e nell’utilizzo di apparecchiature diagnostiche, come la TAC, la risonanza magnetica, la PET (Tomografia a Emissione di positroni). Eppure, tali strumentazioni diagnostiche, attraverso le immagini scansionate, sono in grado di rilevare differenze dello spettro elettromagnetico emesso dai tessuti sani rispetto a quelli malati. Come ricorda il biologo cellulare Bruce H. Lipton, “l’applicazione della meccanica quantistica è stata la diretta responsabile dell’evoluzione dei televisori, dei computer, degli scanner per la TAC, dei laser, dei veicoli spaziali e dei telefoni cellulari”, ma nelle scienze biomediche “non è stato fatto alcun progresso riguardo alle importanti acquisizioni della fisica quantistica”, per cui la formazione medica risulterebbe tuttora antiquata e inadeguata.
Nel contempo, la maggior parte dei medici e degli operatori sanitari, così come i comuni cittadini, è come ipnotizzata di fronte alle ultime evoluzioni della telefonia mobile; molti si sono equipaggiati con hot spot Wi-Fi, per collegamenti wireless a tablet e iPhone di ultima generazione, del tutto ignari e inconsapevoli del profondo impatto che il diffuso flusso energetico, indotto dai campi elettromagnetici dei sistemi tecnologici di telecomunicazione, produce su ogni aspetto della regolazione biologica. Aree Wi-Fi sono state create in ogni luogo, piazze, stazioni ferroviarie, alberghi, aeroporti, centri commerciali e persino istituti scolastici, anche sotto lo stimolo di pubbliche istituzioni. La richiamata “Agenda digitale”, fra l’altro, porta a compimento un “sogno” dei Ministri Brunetta e Gelmini di diffondere in tutte le scuole, comprese le Primarie, sistemi di connettività senza fili. Ci chiediamo: ma è davvero così utile a dei bambini avere un collegamento wireless a internet? Non è sufficiente un’aula d’informatica collegata via cavo?
Quasi come a volersi creare un alibi, si tende a imputare eventuali rischi al solo effetto termico, ritenendo che sotto una determinata soglia di frequenza e d’intensità non ci siano interferenze con la fisiologia delle cellule umane; in conformità a tale presupposto si ritiene che il danno, causato da una radiazione non ionizzante, si manifesti solo quando la potenza generata dall’onda alza la temperatura, al punto tale da provocare alterazioni nella struttura della cellula. Quindi, per valutare gli effetti a lungo termine dei telefoni cellulari sulla testa dell’utente è utilizzato un indicatore, il SAR (tasso di assorbimento specifico dell’energia elettromagnetica), per la cui quantificazione sono fatte prove su fantocci di materiale sintetico, con caratteristiche elettriche apparentemente simili a quelle del tessuto da simulare. Ci chiediamo: quale credito dare a una procedura che paragona una testa pensante a quella di un fantoccio? Come ha scritto il medico igienista e scienziato Aldo Sacchetti nel suo libro Scienza e coscienza “Ciò che distingue i sistemi viventi dai non viventi è la comunicazione, la sensibilità percettiva e discriminativa, la memoria storica […] per questo, tutte le radiazioni tecnogeniche non ionizzanti, di alta o bassa frequenza, non sono prive di effetti sull’organismo umano e animale perché interferiscono con i centri fisiologici di coordinamento”. Le proteine, che sono la base delle strutture viventi, assumono una precisa conformazione tridimensionale che riflette un equilibrio tra le cariche elettromagnetiche degli aminoacidi che le compongono. Tale bilanciamento può essere modificato da una serie di fattori tra cui il legame con ormoni, enzimi, ioni oppure con l’interferenza di campi elettromagnetici, come quelli emessi dai telefoni cellulari. Secondo il biologo Lipton “le proteine della membrana delle cellule, fra l’altro, sono deputate a riconoscere il sé dal non sé, alla ricezione di segnali fisici e chimici e alla trasduzione di un segnale anche con basso potenziale elettrico, tale da innescare una cascata di eventi incomparabile rispetto alla causa scatenante”.
La ricerca epidemiologica fondata sull’evidenza di un rapporto causa effetto, molto spesso naviga nel buio; perciò, per valutare la validità di una relazione causale, si ricorre a prove matematiche di significatività statistica. Invece, a parere, del medico igienista Sacchetti, “Ciò che occorre per la difesa della salute e della biosfera, in una situazione di caos generalizzato, non è tanto una valutazione statistico/epidemiologica dei fattori di rischio, quanto la lucida consapevolezza dei processi quantici coerenti della fisiologia cellulare”. Purtroppo, a fronte di una grave assenza di fisica quantistica e di elettrodinamica (QEC) nel curriculum scolastico degli studi di medicina, non esistono finanziamenti per una ricerca biomedica focalizzata sulla componente energetica sub molecolare e sui modelli elettromagnetici che regolano e controllano la biologia e l’informazione della cellula.
Nel frattempo, le multinazionali investono imponenti risorse nel marketing della telefonia mobile inondando l’atmosfera di un inquinamento elettromagnetico ancora più insidioso ma sfuggente alla capacità popolare di comprenderlo e tradurlo in immagini. Esse informano che … per il prossimo Natale – in barba alla crisi economica – per “fare felici” i più giovani “regaliamogli un telefonino, meglio uno smartphone, anche se non di ultima generazione, purché lo si acquisti al miglior prezzo possibile!!”
Il citato documento della compagnia svizzera di assicurazione Swiss Re così prosegue: “Le richieste di risarcimento eventualmente derivanti dai campi elettromagnetici potrebbero mettere l’industria assicurativa di fronte a pretese su scala tale da minacciare la sua stessa esistenza dal momento che i ricercatori hanno già trovato troppe evidenze per ignorare i relativi rischi per la salute, ma allo stesso tempo non ne hanno trovate abbastanza per misurarli […] Anche sulla base delle conoscenze attuali – era il 1996 – ci si deve aspettare che i ricorrenti vinceranno cause su quest’argomento”.
Queste affermazioni, pur scritte 15 anni fa, sono divenute molto reali; in proposito citiamo il caso della Corte di Cassazione di Brescia, Sezione Lavoro il 3 ottobre 2012, che ha confermato la sentenza della Corte di Appello di Brescia del 22 dicembre 2009 che condannò l’Inail – un ente pubblico – a corrispondere ad un manager la rendita per malattia professionale prevista per l’invalidità all’80 per cento legata all’uso di cordless e cellulari per motivi professionali”.
di Aldo Di Benedetto
Medico, già Direttore Ente Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise