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ll riscaldamento globale ha causato il nanismo dei mammiferi per due volte

Scritto da Leonardo Debbia il 06.11.2013

Nel corso dell’evoluzione, per ben due volte le dimensioni del corpo di alcuni mammiferi sono diminuite significativamente mentre si verificavano due antiche manifestazioni di riscaldamento globale.

Confronto tra Hyracotherium (a destra) e cavallo moderno                                            (fonte: Danielle Byerly, Università della Florida)

Confronto tra Hyracotherium (a destra) e cavallo moderno (fonte: Danielle Byerly, Università della Florida)

I paleontologi sapevano da anni che mammiferi come primati, cavalli e cervidi erano divenuti più piccoli nel corso di un periodo di riscaldamento terrestre, conosciuto come il massimo termico Paleocene-Eocene (PETM), risalente a circa 55 milioni di anni fa.

Ora, Philip Gingerich, paleontologo dell’Università del Michigan e alcuni colleghi, hanno trovato la prova che il nanismo dei mammiferi si ripetè una seconda volta, durante un’altra manifestazione di riscaldamento globale, anche se più modesta, 2 milioni di anni dopo il PETM, verso i 53 milioni di anni fa.

“Il fatto che questa concomitanza di eventi si sia ripetuta ci induce a pensare ad un rapporto di causa-effetto”, afferma Gingerich.   

Il team di ricerca comprende anche scienziati dell’Università del New Hampshire, del Colorado College e del California Institute of Tehnology.

Questi studiosi sostengono che la riduzione delle dimensione del corpo dei mammiferi potrebbe essere stata una ‘risposta evolutiva comune’ ad eventi estremi quali il riscaldamento globale, da considerarsi seriamente per le possibili conseguenze future del riscaldamento attualmente in corso.

Il PETM durò circa 160mila anni e le temperature aumentarono di 10/12,8 gradi centigradi.

Nel secondo periodo, oggetto del recente studio e conosciuto come ETM2 (Eocene Thermal Maximum 2), la durata fu inferiore, circa 80mila anni, ma l’aumento di temperatura salì a circa 15 gradi centigradi.

Denti e mascelle fossili dei primi mammiferi ungulati e dei primati che dettero la misura  di questo secondo evento sono stati raccolti nel Bighorn Basin del Wyoming e la dimensione dei denti molari è stata utilizzata come riferimento per le dimensioni del corpo.

I ricercatori hanno scoperto che anche in queste faune, durante l’ETM2, si verificò una diminuzione del corpo, sebbene con effetti minori rispetto al nanismo del PETM.

Ad esempio, l’Hyracotherium, un primitivo equide delle dimensioni di un piccolo cane, durante l’ETM2, ha registrato una diminuzione di dimensioni del corpo del 19 per cento, mentre durante il PETM aveva mostrato una riduzione del 30 per cento.

Un antico ungulato, chiamato Diacodexis, un primitivo artiodattile, antenato delle capre, durante l’ETM2, diminuì di circa il 20 per cento e il primitivo Cantius, antenato dei lèmuri, dell’8 per cento.

Un particolare da sottolineare è che, dopo entrambi gli eventi climatici, gli animali ‘temporaneamente’ rimpiccioliti, tornarono alle dimensioni precedenti i periodi caldi.

Ogg le cause del riscaldamento globale sono state individuate principalmente nelle immissioni di gas serra di origine antropica, secondo la maggior parte degli scienziati. 

Gli antichi eventi potrebbero essere stati provocati dal rilascio di metano dai fondali oceanici, anche se questo argomento controverso è tuttora oggetto di un’attiva ricerca.

“Il rapporto di causa-effetto tra riscaldamento globale e dimensioni dei mammiferi può aiutarci a prevedere i cambiamenti ecologici futuri in rapporto ai cambiamenti climatici attuali”, ha avvertito Will Clyde, dell’Univerità del New Hampshire.

Nel 2006, Gingerich aveva ipotizzato che il nanismo dei mammiferi potesse essere posto in relazione alla diminuzione del valore nutritivo delle piante, cresciute entro livelli elevati di anidride carbonica. In condizioni del genere, infatti, le piante crescono più in fretta, ma sono meno nutrienti.

Gli  erbivori, secondo lo studioso, si sarebbero adattati a questa variazione ‘esterna’, diventando più piccoli. 

“Le prove dei fossili appartenenti all’ETM2 sono coerenti con questa ipotesi, ma la ricerca è comunque ancora in corso”, conclude Gingerich.

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