ROMA – Dopo la notizia, confermata da fonti ufficiali del governo, che il Giappone si appresterebbe a smantellare tutte le centrali nucleari entro il 2030, Greenpeace si dice felice della decisione del Giappone, che dipendeva fino a prima del disastro di Fukushima per il 30% dall’energia nucleare. Ma abbandonare completamente questa fonte energetica entro il 2030 è ancora troppo – secondo Greenpeace – per il Giappone, già provato dal secondo incidente nucleare civile più grave della storia.
Greenpeace ritiene che esporre la popolazione al rischio atomico per altri 18 anni in un paese ad altissimo rischio sismico sia ancora troppo. “La strategia del governo prevede un’uscita dal nucleare troppo lenta. Questo dev’essere il punto di partenza per una politica energetica orientata alle rinnovabili più ambiziosa, per una maggiore efficienza energetica e in generale per una sterzata più decisa verso la green economy che assicurerà il benessere del Giappone”, ha commentato Kazue Suzuki, di Greenpeace Giappone.
Secondo il rapporto di Greenpeace “Energy [R]evolution”, il Giappone può sostenere la propria ripresa economica e rispettare i suoi impegni di riduzione di gas serra entro il 2020 senza far ripartire nessuna delle centrali atomiche chiuse dopo il disastro di Fukushima.
Gli incentivi alle rinnovabili ( tariffa Feed in) adottati dal governo stanno infatti dando ottimi risultati. Il 1° luglio, dopo solo un mese dalla loro adozione, sono stati raggiunti 560 MW di rinnovabili, ovvero il 20% dell’obiettivo del governo previsto in 9 mesi.
In ogni caso, la svolta giapponese è un cambiamento è enorme, se si pensa che prima dell’incidente di Fukushima il programma energetico prevedeva di ampliare la potenza nucleare del 50%.
Nel marzo 2011 160mila persone furono costrette ad evacuare la zona intorno alla centrale di Fukushima a causa delle radiazioni emesse dopo l’esplosione e la fuga radioattiva in tre dei quattro reattori nucleari.
La posizione del primo ministro Noda non è affatto semplice. Infatti, non sarà facile accontentare l’acceso movimento anti-nucleare giaponese e dall’altra le potenti lobbies imprenditoriali del nucleare sostengono che il passaggio alle altre fonti di energia farà aumentare il prezzo dell’energia elettrica rendendo tuta l’industria meno competitiva all’estero. D’altra parte gli antinuclearisti sostengono che le nuove forme di energia creeranno posti di lavoro. Il tutto a pochi mesi dalle elezioni.
Secondo i sondaggi la maggioranza degli elettori vuole che il paese esca dal nucleare, che sia prima o dopo il 2030.
Quest’estate il primo ministro Noda ha deciso di riavviare 2 centrali nucleari per evitare potenziali black-out, scatenando le proteste dei anti-nuclearisti. Gli altri 48 reattori nel paese rimangono tuttora inattivi per controlli di sicurezza.