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Donne non rieducabili

Scritto da Maria Rosa Pantè il 19.03.2014

Un fenomeno se non viene osservato non esiste. Ora qualcuno potrà dire, non esiste per me che non lo vedo, ma esiste in sé. Forse, io credo che questo principio della meccanica quantistica – espresso in modo vergognosamente semplificato – sia molto adatto non solo ai fenomeni quantici, ma anche ai fenomeni umani.

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Ci sono situazioni, fenomeni, nel nostro mondo, che esistono solo se qualcuno li vede. E non ditemi: già è internet, già i social network, già la televisione.

Ricordo che la parola storia è parola greca la cui radice è vid, la radice di vedere e, guarda caso, la radice della parola Dio.

Quando crea Dio nella Genesi dice: “E vide che era cosa buona”.

Allora vedere è far esistere qualcosa. Vedere e parlarne. Cioè vedere e far vedere agli altri. Vedere, conoscere, far vedere far conoscere.

Mi è venuto in mente tutto questo guadando uno spettacolo teatrale, messo in scena tempo fa da una mia amica Costanza Daffara insieme con Luigi Gabriele Smiraglia, dell’Associazione Fiorile Messidoro di Varallo, e con un bel gruppo di attori non professionisti, ma molto professionali e bravi.

Il testo, ripreso e trasformato, vedremo come, è “Donna non rieducabile” di Stefano Massini, un monologo che parla di Anna Politkovskaja, o meglio, un testo fatto dalle parole di Anna, la donna non rieducabile del titolo. Così poco rieducabile che per farla tacere il potere l’ha uccisa. Anna scrive della Cecenia, un nome da operetta, un nome lontano, un luogo per un po’ salito agli onori della cronaca, anche grazie ad Anna, per via di un conflitto tra la Russia e la Cecenia che chiede l’indipendenza. Ora della Cecenia nessuno dice più nulla. La Cecenia non esiste più. La Cecenia, fenomeno quantico, nessuno la vede e dunque non esiste.

Ma la testimonianza di Anna e di altre giornaliste come lei, come lei non rieducabili e dunque uccise, resta. Se qualcuno raccoglie il suo testimone, un fenomeno diventato invisibile torna evidente in tutta la sua tremenda crudeltà, insensatezza, dolore.

Il grande merito dell’operazione di Costanza e Luigi Gabriele, che firmano la regia, mirabile ed efficacissima, dello spettacolo è stato questo: rendere visibile l’invisibile.

Poi loro vi hanno aggiunto dell’altro. Hanno tagliato alcune parti del monologo, hanno messo una voce seminascosta che di tanto in tanto sciorina nomi e talvolta storie di giornalisti uccisi, giornalisti italiani. – Ma quanti, quanti sono? – E hanno moltiplicato Anna: le Anne in scena sono quattro. L’operazione, che poteva ingenerare confusione, è riuscita grazie all’abilità della regia e a me è sembrata scelta felice non solo per la resa dello spettacolo, ma anche perché ha dato voce in Anna a tutte le altre giornaliste che hanno seguito la sua strada e a tutte quelle che la seguiranno. Se non in Cecenia, forse in Ucraina o in una qualsiasi altra parte del mondo in cui vi sia un fenomeno e qualcuno, a suo rischio e pericolo, nel raccontarlo lo faccia diventare reale.

Mi viene in mente di una donna Marianella Garcia attivista nonvioenta del Salvador (il piccolo stato del centro America sfregiato da una dittatura orrenda, che aveva assassinato il cardinale Romero mentre diceva messa). Marianella alla fine della sua vita, era braccata dai dittatori, andava in giro a cercare i morti e a fotografarli, prima che sparissero nelle fosse comuni. Era l’estremo servizio e l’estrema ribellione. Fu presa e uccisa, certo anche torturata, ma nessuno fotografò il suo cadavere.

Però far vedere un fenomeno è vitale, ora nell’America Latina delle dittature ci sono democrazie e le Presidenti del Cile e del Brasile sono donne sopravvissute alle torture di quelle dittature. Insomma una speranza c’è.

E dunque grazie alle Ragazze non rieducabili di Costanza Daffara e Luigi Gabriele Smiraglia: per avere notizie e contattare i registi e gli attori potete trovare su Facebook la Pagina dell’Associazione Fiorile Messidoro.

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