Che l’Italia sia sempre più vocata al green è innegabilmente un fatto. Lo dimostra il recente rapportoGreen economy on capital markets, presentato a Roma da VedoGreen, la società delGruppo IR Top specializzata nella finanza per le aziende green quotate e private.Secondo ilrapporto il 2012 è stato perLa nostra Green Economy un anno decisamente positivo “con una crescita media del 3% in termini di ricavi e del 13% in termini di EBITDA e con un indice Green Italia in borsa del +20% da inizio anno. %). Analoga crescita si registra a livello europeo con un +10% in termini di ricavi e un +22% di EBITDA”. È confermata, quindi, nel nostro Paese, la tendenza al green, testimoniata anche dall’elevata marginalità (25% rispetto a una media europea del 16. “Il comparto delle aziende green – ha spiegato Anna Lambiase, amministratore delegato di VedoGreen – si conferma non solo in Italia, ma anche a livello europeo uno dei più interessanti e con tassi di crescita superiori a quelli di altri settori. Uno sviluppo sostenuto da idee imprenditoriali innovative e da una forte componente tecnologica che rendono le industrie green appetibili per il mondo della finanza e degli investitori”.
Fra gli investitori istituzionali delle aziende green italiane predominano i capitali esteri: il 75%, infatti, è di provenienza statunitense, britannica e svizzera. Eurizon Capital, Kairos Partners, Dimensional Fund Advisors, KBC Asset Management NV, The Vanguard Group, AcomeA SGR, Sella Gestioni SGR, VG SA, Tredje AP-fonden, Bessemer Investment Management sono solo alcuni degli investitori più attivi.
Lo studio è stato realizzato su un campione di 117 società green quotate sui principali listini europei, di cui 17 quotate su Borsa Italiana: Alerion CleanPower, Biancamano, Eems, Enertronica, ErgyCapital, Falck Renewables, Fintel Energia Group, Frendy Energy, Industria e Innovazione, Isagro, K.R. Energy, Kinexia, Landi Renzo, Sacom, Sadi Servizi Industriali, True Energy Wind, Terni Energia.
Che l’Italia sia sempre più vocata al green è innegabilmente un fatto. Lo confermano anche i dati diffusi da Unioncamere sul crescente numero di brevetti italiani green registrati in Europa: +5,4% negli ultimi cinque anni quellia tecnologia “green” e + 1,1% quelli nelle KET (dall’inglese Key Enabling Technologies), quelle tecnologie cioè capaci di innescare processi di innovazione accelerata in modo trasversale in più settori produttivi. Nel periodo compreso tra il 1999-2012, sono più di 14.000 domande di brevetto italiane riconducibili alle KET, il 27,9% di totale italiano in Europa. Il maggior numero di brevetti è stato registrato nei settori della Manifattura avanzata (69,5% delle domande di brevetto), a cui seguono i Materiali avanzati (10,2%), la Fotonica (7,4%), le Biotecnologie (6,8%), la Micro e nanoelettronica (5,7%) e le Nanotecnologie (0,4%). Sempre nello stesso periodo, il 5,5% delle domande di brevetto italiane sono rientrate nei settori della green economy. Sebbene si sia verificata una contrazione nel numero di domande italiane di registrazione presso gli uffici europei (mediamente -3,6% annuo dal 2008 al 2012, rispettivamente 4.423 e 3.819 domande) il nostro Paese, stando alla Commissione Europea, ha incrementato lo sviluppo tecnologico su settori a forte valenza strategica, con ricadute positive sia sulla competitività delle nostre imprese sia sulla capacità di attrarre capitali stranieri.
In quest’ottica tutta green dell’industria italiana è interessante sottolineare anche il dato di Fise Unire, l’associazione di Confindustria che rappresenta le aziende del recupero rifiuti, relativo alla crescita dell’industria del riciclo dei rifiuti nonostante la crisi dei mercati internazionali e dei consumi (+ 2% nel 2012 rispetto al 2011 il tasso di riciclo imballaggi oltre 65% imballaggi avviato a riciclo). Il dato testimonia la capacità di tenuta del settore, sia pur tra le mille difficoltà dell’attuale congiuntura: 7,546 milioni di tonnellate contro le 7,511 del 2011 e le 7,346 del 2010. I maggiori incrementi si sono avuti nei comparti tradizionali, quali carta (84%), acciaio (75%) e vetro (71%); ma manche il tessile (+20%, con 96.700 tonnellate di raccolta differenziata) e la frazione organica (4,5 milioni di tonnellate recuperate). L’Italia risulta prima in Europa per il reimpiego dei materiali ottenuti dalla demolizione dei veicoli a fine vita, e seconda per il loro riciclo.
Nonostante i risultati positivi, l’Italia sconta però il grave ritardo rispetto al resto dell’Europa: conferisce in discarica circa il 43% dei rifiuti urbani (in diverse Regioni anche oltre l’80%), a fronte di altri Paesi europei (Austria, Belgio, Danimarca, Germania, Paesi Bassi e Svezia) che, dopo aver portato il riciclo a livelli molto elevati e destinato una quota significativa al recupero energetico, hanno superato il ricorso allo smaltimento in discarica. “Nonostante i difficili anni di crisi– dichiara Corrado Scapino, presidente di Unire – il settore del recupero rifiuti si conferma un sistema dinamico, almeno per quanto riguarda le imprese e gli organismi di gestione che lo coordinano. Purtroppo continuiamo a riscontrare il mancato rispetto della gerarchia di gestione dei rifiuti, che vede il riciclo prioritario rispetto ad altre forme di gestione, e che deve realizzarsi attraverso atti, regolamentazioni, strumenti ed iniziative concrete, sia a livello centrale che locale. In tale ottica, occorre in primis attivare nuove leve per stimolare il mercato dei materiali riciclati, anche attraverso politiche di green public procurement che in Italia, a differenza di altri Paesi, stentano a decollare”.