Nella scienza il progresso si ottiene più o meno in questo modo: i risultati di un esperimento vengono resi pubblici e altri gruppi di ricerca, con metodi e a volte con parametri differenti, cercano di riprodurre l’esperimento per verificarne o falsificarne i risultati. Tutto questo, che di per sé non è nulla di straordinario, diventa oggetto di clamore quando l’annuncio riguarda i primi segnali di vita dell’Universo, quelle che sono state chiamate le tracce del big bang.
Come ricorderete, qualche tempo fa il gruppo di scienziati della collaborazione BICEP2 è riuscito a catturare i segni della polarizzazione nella luce risalente a qualche attimo dopo il big bang, dimostrando l’esistenza di onde gravitazionali primordiali nella radiazione cosmica di fondo. Una conferma del big bang e dell’inflazione. Questa istantanea del cosmo primordiale, risalente a qualche istante dopo la grande esplosione (10-35 secondi), era stata accolta come una scoperta degna del Nobel, paragonabile a quella del bosone di Higgs.
Mappa della radiazione cosmica di fondo, ottenuta da Planck. (Crediti: ESA).
Come era ovvio, le discussioni sono cominciate all’indomani della scoperta, resa pubblica all’incirca due mesi fa, con le dichiarazioni di Adam Falkowski, un fisico teorico francese che sul suo blog Résonaances discute criticamente i criteri metodologici stessi su cui si basa la scoperta. In sostanza Falkowski dice questo: i ricercatori del BICEP2 hanno mappato la polarizzazione della radiazione cosmica di fondo (CMB) per una porzione del cielo della grandezza di 15°*60°. C’è però un problema: questa radiazione è letteralmente immersa in un fondo generale di rumore che comprende molte altre fonti a microonde generate semplicemente dalla polvere che permea la nostra galassia.
Benché il team di BICEP abbia usato una mappa di Planck per escludere la polvere presente nella galassia, molti scienziati ritengono che l’esperimento non sia cogente, nel senso che è necessaria una verifica ulteriore per capire se i dati a nostra disposizione sono sufficienti per escludere al 100% l’intervento causale della polvere (il Washington Post ne ha parlato con efficacia).
Nulla di strano. Si tratta soltanto di mettere in pratica il metodo scientifico. Discutere criticamente, dubitare non significa affatto negare una scoperta né la validità dei dati su cui si basa. Pur tuttavia, leggendo il modo in cui alcune testate hanno dato la notizia – si parla di “dubbi” e di “risultati errati nell’analisi della CMB” – mi è parso che alcuni abbiano perso di vista come funziona la scienza, in particolare come funziona il metodo scientifico che abbiamo ereditato da Galileo. Planck aveva scandagliato l’intera volta celeste per ottenere la mappa più precisa e dettagliata possibile della CMB, ma è assolutamente possibile che accada quello che Falkowski teme, ossia che i ricercatori di BICEP2 non l’abbiano interpretata nel modo giusto. La mappa, infatti, non contiene solo le emissioni galattiche ma anche il bagliore non polarizzato che proviene da altre galassie, e che influenza le microonde al punto che ci sembrano meno polarizzate di quanto lo siano realmente. Detto semplicemente, tutto questo significa che la mappa non è uno strumento efficace per escludere il rumore galattico dal segnale finale.
Quanto visto dall’esperimento BICEP2 – ovvero la polarizzazione della radiazione cosmica di fondo – infatti potrebbe essere stato prodotto dalle onde gravitazionali primordiali come dalla polvere presente nella Via Lattea che potrebbe emettere microonde che mimino lo stesso tipo di segnale. Serve dunque una ulteriore verifica sperimentale. Ancora una volta, nulla di strano. Clement Pryke, cosmologo dell’Università del Minnesota e membro del team di BICEP2, ha ammesso che la mappa rappresenta un problema importante e spinoso. Secondo le sue dichiarazioni, parte del problema sta nel fatto che il team di Planck non ha pubblicato i dati iniziali e “spuri” rendendo ad oggi impossibile qualsiasi confronto e analisi evolutiva dei dati stessi.
Non nega il problema neanche John Kovac, l’astrofisico di Harvard a capo diBICEP2, che pur dichiarandosi fiducioso su quanto osservato (i cosiddetti B modes, la polarizzazione causata dalle onde gravitazionale), ammette che solo l’arrivo di nuovi dati, come quelli provenienti dal telescopio spaziale Planck potranno contribuire a chiarire le perplessità. Kovac ammette che eliminare ogni tipo di incertezza sarebbe utopistico, certamente non scientifico. E pur ammettendo che i modelli utilizzati per stimare gli effetti della polvere galattica non siano così buoni, anche Jamie Bock, astrofisico del Caltech, fa appello al metodo scientifico per “spiegare” e giustificare ai profani i “dubbi” sollevati dalla comunità scientifica: “questo è il modo in cui la scienza lavora. È un risultato veramente entusiasmante. Ci aspettiamo che le persone vogliano esserne certe. Noi stessi vogliamo esserlo”. La scienza funziona. L’informazione in lingua italiana un po’ meno.
L’unico commento che posso fare è di riconoscere la mia totale ignoranza di fronte agli scienziati che studiano ed indagano sulle origini dell’universo e di provare per loro una immensa ammirazione.