Limitare l’energia nucleare, in virtù di decisioni politiche, ma anche di regolamenti imposti dalle autorità di sicurezza – opzione considerata da alcuni paesi all’indomani dell’incidente di Fukushima, in Giappone – in combinazione con politiche climatiche, potrebbe diventare troppo costoso? Il problema principale è rappresentato dal rischio che, restringendo la capacità nucleare, i combustibili fossili diventerebbero più costosi, in virtù del prezzo per le emissioni di CO2.
Per una valutazione del problema l’analisi del bilancio delle emissioni, ovvero del carbon budget, si configura come l’approccio più valido. Lo smantellamento degli impianti esistenti eviterebbe le spese di ristrutturazione per la sopravvivenza di vecchie centrali nucleari. Di conseguenza, la chiusura anticipata di centrali nucleari si tradurrebbe in perdite cumulative globali del prodotto interno lordo (PIL), pari a circa il 10 per cento dei costi della politica climatica.
Diversamente, in assenza di nuove capacità nucleari, i costi sarebbero pari al 20 per cento. Per il loro studio, gli scienziati hanno esaminato diverse politiche nucleari che coprono una vasta gamma di scenari: dal “Rinascimento”, con un pieno utilizzo degli impianti esistenti, a un possibile rinnovamento con investimenti in nuove capacità nucleari, a una “uscita totale”, con una disattivazione delle centrali elettriche esistenti e nessun nuovo investimento.
Gli studiosi hanno rapportato ogni scenario alle politiche climatiche attuate per mezzo di un carbon budget inter-temporale globale, che fissa un prezzo per le emissioni di carbonio. Le emissioni cumulate di CO2 prodotte dal settore energetico mondiale si limiterebbero a 300 gigatonnellate di carbonio a partire dal 2005 fino alla fine del secolo. Si tratta di una politica di mitigazione dei cambiamenti climatici coerente con l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 2 gradi Celsius. Un risultato sorprendente dello studio è la differenza piuttosto ridotta tra un ‘Rinascimento’ o una ‘uscita completa’ del nucleare in combinazione con un carbon budget.
L’imposizione di un carbon budget senza restrizioni in materia di politica nucleare comporta una riduzione del PIL , stimabile sino al 2,1 per cento nel 2050. L’ulteriore graduale arresto del nucleare, aumenterebbe la perdita di circa lo 0,2 per cento nel 2050 e quindi avrebbe solo un impatto aggiuntivo minimo sull’economia, in quanto il contributo del nucleare alla produzione di energia elettrica può essere sostituito in modo relativamente facile da opzioni tecnologiche alternative, tra cui, in primis, le energie rinnovabili.