Denunce e polemiche sullo stato del paese in cui alluvioni disastrose che fanno vittime oltre che distruzioni micidiali sono inevitabili e doverose, ma bisogna dire anche che ormai non bastano. Come non basta riportare quasi sempre solo ‘dopo’- lo sbilancio tra le risorse che sarebbero necessarie e quelle effettive disponibili. Non basta perché puoi anche scoprire in qualche situazione che non si è riusciti a utilizzare o utilizzare bene neppure quegli insufficienti stanziamenti.
E non basta neppure tornare a sottolineare che tanti e tali disastri- in crescita anche per i cambiamenti climatici che troppi prendono ancora sotto gamba considerandola roba da fighetti- sono dovuti alle troppe cose sbagliate che si fanno in posti sbagliati, sulle sponde dei fiumi. Intendiamoci tutto questo è vero e ampiamente documentato da tempo. Ma è anche vero che accanto alle tante cose sbagliate che si fanno dove non si dovrebbero fare, ci sono le molte cose che non si fanno nell’ambito dei bacini chiamati per legge a gestire questi territori sempre più a rischio.
A rischio però non solo per il consumo del territorio in impressionate crescita, ma anche e non di meno per l’inadeguato ‘governo’ -ad esempio- anche nelle zone tosco-liguri oggi nuovamente e gravemente colpite.
Mi riferisco allo stato dei boschi anche in crescita, ma in stato di abbandono, che ha favorito smottamenti e frane non dovuti al cemento, ma al degrado. Situazioni evidentissime sul Magra, ma non solo.
Si noterà che anche le cronache quando parlano di questi disastri mai o quasi mai indicando i paesi colpiti li riconducono ad un bacino di cui pure fanno parte, ma per Monterosso o Vernazza tutti li riconducono al Parco delle 5 Terre. Perché? Perché i parchi con nome e cognome indicano una dimensione ambientale, ma anche istituzionale chiamata a precise scelte e decisioni che coinvolgono direttamente le comunità locali e i diversi livelli istituzionali. Non è così per i bacini dalle dimensioni anche recentemente riviste in molti casi, in sedi che non hanno coinvolto e non coinvolgono quelle realtà e dimensioni istituzionali così come un parco è obbligato a fare con sempre minori risorse.
Non è un caso – come ho ricordato altre volte- che in una lontana indagine parlamentare fu sottolineato che sarebbe stato opportuno gestire i bacini alla stessa stregua dei parchi, ossia con organi rappresentativi dell’intenso sistema istituzionale.
Invece non molto tempo fa la legge 183 è stata cambiata, ma in peggio, con l’aggravante dello stato confusionale del dibattito istituzionale; via le comunità montane, via tra un anno le province, via i piccoli comuni. Questo rende lo sfondo del governo del territorio che come vediamo fa acqua da tutte le parti, sempre più confuso e pasticciato.
O meglio, rende questo dibattito del tutto scollegato e disancorato da vicende tanto drammatiche senza un ruolo ridefinito e chiaro dei molteplici livelli istituzionali, che non potranno trovare oltre alle risorse neppure le risposte gestionali adeguate ed efficaci.
Ecco perché non bastano le denunce anche da parte di chi è sicuramente impegnato perché la musica cambi e non ci si può limitare a qualche comunicato o dichiarazione. Lo dico perché il seguito degli eventi del recentissimo passato fu assolutamente deludente sotto questo profilo. Non vorrei che ora si ripetesse.
Renzo Moschini