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La crisi e il ruolo delle associazioni rappresentative dei soggetti istituzionali, parchi compresi

Scritto da Renzo Moschini il 13.10.2011

Tra i molti  problemi  che l’attuale situazione politico-istituzionale pone vi è sicuramente anche quello del ruolo delle associazioni e strumenti rappresentativi delle istituzioni; regioni, province, comuni ed anche parchi.

Le comunità montane sono confluite nell’ANCI dopo la decisione di abrogarle. Il primo problema da sempre – ma in maniera più acuta e difficile nei momenti di crisi politica e istituzionale – è quello di riuscire ad assicurare un impegno, una elaborazione e proposte che, muovendo dalle esigenze dei soggetti rappresentati, permetta a forze politiche diverse di trovare nelle rispettive associazioni convergenze e intese anche nei confronti del parlamento e del governo a prescindere dalla maggioranze politiche del momento. Personalmente ho vissuto esperienze dirette nell’ANCI (poco) ma soprattutto  nell’UPI e negli ultimi anni in Federparchi, anche quando non si chiamava così, ma Coordinamento dei parchi regionali, ossia prima della approvazione della legge 394.

Devo dire che pur in presenza di stagioni politiche anche assai diverse nel complesso, l’associazionismo è riuscito a superare prove difficili con dignità e grande senso di responsabilità. Ciò vale anche per Federparchi  -rappresentativa di enti non elettivi- che ha saputo, nei 20 anni trascorsi, fare la sua parte nei confronti degli associati, ma anche delle altre istituzioni locali, regionali e degli  stessi governo e ministri politicamente diversi.

A questa opera incisiva e equilibrata ha contribuito naturalmente una rivista nazionale, Parchi, esperienze molto importanti e qualificate di centri studi come quello intitolato a Valerio Giacomini di Gargnano (ora ricostituito presso il parco di San Rossore). Sia la rivista che il Centro studi per molti anni hanno permesso non solo di portare avanti un confronto innanzitutto culturale, ma anche politico-istituzionale, con ministri, assessori regionali, sindaci, presidenti di provincia e soprattutto molti esperti anche stranieri.

Ho avuto modo già in altre occasioni di ricordare come la rivista Parchi permette di ricostruire molta parte di questo percorso, di questa presenza e capacità non solo di critica, ma soprattutto di proposta. Il coordinamento prima e Federparchi dopo, fino alle più recenti iniziative di Parcolibri, hanno saputo essere qualcosa di più di una rappresentanza sindacale in senso stretto che vale chiaramente per categorie contrattuali, ma non per  soggetti istituzionali strettamente connessi con altri soggetti istituzionali con i quali non si deve contrattare ma ‘concertare’ e ‘cooperare’, essendo i parchi enti ‘misti’.

Ed è proprio in ragione di questa loro natura che oggi i parchi attraversano un fase critica per moti versi nuova e pericolosa. Stagioni prive di difficoltà nei rapporti tra i livelli istituzionali sia nella fase di istituzione che di gestione dei parchi regionali prima e poi nazionali, non se ne conoscono.

Ma non era mai accaduto che una associazione come l’UPI chiedesse ufficialmente lo scioglimento dei parchi regionali per ereditarne funzioni e competenze peraltro non ereditabili. Non ho dimenticato di aver rappresentato l’UPI alla consultazione parlamentare che precedette l’approvazione della 394 e di aver diretto il gruppo parchi dell’UPI che pubblicò il primo libro in Italia dedicato ai parchi regionali. I tempi come si vede sono cambiati. Così come non si ricordano interventi tanto solleciti del governo per impugnare leggi regionali  come nel caso del Piemonte e non solo. E ancor meno si ricorda un ricorso cosi diffuso ai commissariamenti che durano all’infinito. Ma anche qui come nei casi prima citati  -e vengo così al punto su cui vorrei soffermarmi- non si è avvertita finora una iniziativa, una presenza adeguata di Federparchi.
La sua rappresentatività è messa a forte rischio e seriamente menomata da quando i parchi associati versano in condizioni per una ragione o per un’altra che non gli consentono di funzionare a dovere e non solo per le scarse risorse finanziarie.
Le cronache ogni giorno ci ragguagliano su un impressionante crescendo di conflitti, ricorsi, contestazione di candidati che vede crescere a dismisura i parchi e le aree protette praticamente bloccati, paralizzati, contestati e sempre più ignorati dal Ministero. Un Ministero con il quale manca qualsiasi interlocuzione e soprattutto occasione di confronto innanzitutto in sede nazionale.

A quando risale l’ultima iniziativa, proposta, idea volta a discutere con regioni ed enti locali di una qualche collaborazione volta a costruire un sistema di aree protette di cui si sono perse orami anche le tracce? In compenso nel milleproroghe e senza dire nulla a nessuno si sono abrogati i consorzi di gestione dei parchi regionali prendendo alla sprovvista le regioni.
A fronte di questa situazione in cui brillano per la loro crisi in particolare le aree protette marine, riesce difficile capire i troppi silenzi di Federparchi. Negli incontri nazionali, assemblee che pure ci sono stati non risulta –da quanto è dato saperne- se di queste cose si è discusso, come e con quali decisioni. Né tanto meno risulta che vi sia  stata la ricerca di un confronto, ad esempio, con l’UPI. Ora nelle assemblee o congressi dell’ANCI e dell’UPI alla presenza di ministri e in qualche caso anche del Presidente della Repubblica, si è discusso vivacemente denunciando le politiche del governo e soprattutto facendo precise proposte. E ciò è avvenuto anche con  manifestazioni pubbliche, con cortei che hanno visto sfilare sindaci e amministratori di tutte la parti politiche. Federparchi non mi pare che abbia voluto ingranare questa marcia, confinandosi in un ruolo singolarmente subalterno e comunque marginale e improprio come nel caso degli emendamenti alla legge in discussione al Senato, con i quali si è  riusciti a sorvolare sulla questione più grave e cioè lo stravolgimento della legge 394 su un punto fondamentale e cioè il ruolo delle regioni e degli enti locali sulle aree protette marine.

Quando abbiamo istituito il Gruppo di San Rossore coinvolgendo molti ex amministratori di parchi, ma anche amministratori e tecnici ancora impegnati nei parchi regionali e nazionali abbiamo avvertito chiaramente un disagio diffuso nei confronti di Federparchi. Abbiamo registrato anche intenzioni di protesta tanto che c’è chi ha  pensato e pensa  di uscire dalla associazione. Si tratterebbe -inutile dirlo- di scelte sbagliate comunque motivate, ma Federparchi non può ignorare questo clima e far finta di niente.

Sarà anche perché ricordo i momenti assai vivaci di confronto politico-istituzionale  delle due conferenze nazionali di Roma e Torino dalle quali riuscimmo comunque a portare a casa qualcosa sia con Ronchi che con Matteoli, che trovo deprimente e desolante la gestione del ministro Prestigiacomo che dei parchi ha parlato persino con Bisignani, ma non ne discute con i parchi e tanto meno con Federparchi. E non si dica per carità di patria che in qualche occasione si sono scambiati  convenevoli. Qui si sta parlando di politica e del ruolo di una associazione che ha rivendicato e rivendica il ruolo che è proprio e riconosciuto dell’ANCI e dell’UPI  che va guadagnato sul campo.
Ma per farlo ci vuole più iniziativa e presenza e quindi meno clandestinità e silenzi.
Renzo Moschini

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