Il Journal of Royal Society pubblica un interessante articolo che si propone di riformulare i fondamenti della biologia sulla base del secondo principio della termodinamica (quello legato alla freccia del tempo). In aperta critica con il ruolo che hanno assunto i geni nelle spiegazioni biologiche, intende rifondare il concetto di “spiegazione” sulla base di questo assunto: genes without prominence.
Come è noto, il secondo principio della termodinamica sancisce il carattere irreversibile di molti eventi fisici, quali ad esempio il passaggio di calore da un corpo caldo ad un corpo freddo. Se mescolate una zolletta di zucchero in una tazza di caffè non accadrà mai che lo zucchero si solidifichi spontaneamente tornando una zolletta. Questa legge può essere formulata in diversi modi, soprattutto chiamando in causa la nozione di entropia: in questa accezione afferma che l’entropia di un sistema chiuso lontano dall’equilibrio termico tende a salire nel tempo, finché l’equilibrio non è raggiunto. Cosa ha a che fare tutto questo con la genetica e la biologia è presto detto.
Gli autori del paper ritengono che l’enfasi che di solito viene data al ruolo dei geni in biologia si basa non solo su un’interpretazione errata della genetica sperimentale, ma tenderebbe a fraintendere i suggerimenti derivanti dalla fisica sul modo in cui le cellule utilizzano l’energia.
I due ricercatori ritengono che il sequenziamento del genoma umano sollevi due questioni interessanti: perché la previsione dell’eredità delle malattie comuni sulla presenza di alleli anomali si è dimostrata così poco proficua? Come può un numero così esiguo di geni, circa 25.000, generare una così ricca e variegata complessità nel fenotipo umano?
Si può rispondere a entrambe le domande se si considera l’evoluzione subordinata alla seconda legge della termodinamica, l’equivalente del principio di minima azione. Prima di presentare le idee contenute nell’articolo è bene fare un passo indietro ricordando che i dibattiti sul ruolo dei geni nella biologia evolutiva si fanno di solito risalire agli anni Settanta, quando venne pubblicato il Gene Egoista di Richard Dawkins.
La letteratura è ricca di interventi, dibattiti, discussioni senza fine soprattutto sull’opposizione tra genetisti-riduzionisti da un lato e paleontologi-strutturalisti dall’altro (questi ultimi “capeggiati” da Stephen J. Gould).
Sul piano pratico i progressi effettuati negli ultimi anni hanno contribuito a far comprendere al grande pubblico che Dawkins non è poi così tanto riduzionista e che esistono numerosi punti di contatto tra le due prospettive (La sopravvivenza del più adatto di Kim Sterelny è un’ottima ricostruzione del dibattito).
Sappiamo infatti che il significato di alcune espressioni come “X è nei tuoi geni” non è così ristretto come si poteva pensare all’indomani della pubblicazione del Gene Egoista.
Se con X si intende l’intelligenza, l’orientamento sessuale, l’aumento del rischio di cancro, ictus o di qualche altra malattia, il comportamento criminale, le preferenze politiche e le credenze religiose, è ovvio che sarebbe miope sostenere che i geni siano la causa sufficiente e necessaria di fenomeni così complessi.
I geni sono indubbiamente implicati nell’influenzare, in tutto o in parte, tutti questi aspetti della nostra vita, ma non sono in nessun caso una spiegazione esaustiva. Più in dettaglio, i geni non possono causare l’emergenza di nessuna di queste caratteristiche, anche se i genetisti hanno trovato associazioni tra geni specifici e attitudini complesse (genes without prominence). Come possiamo esserne certi?
Gli autori dello studio ricordano che quando un gene (una serie di basi sulla molecola di DNA) viene distribuito prima viene trascritto e poi tradotto in un peptide, in una stringa di aminoacidi. Per dar luogo a proprietà biologiche ha bisogno di “piegarsi” in una proteina. Questo processo consuma energia ed è quindi regolato dal secondo principio della termodinamica. Tuttavia, il modo in cui si realizza dipende anche dall’ambiente in cui il ripiegamento avviene.
Ciò comporta che non vi sia alcuna relazione causale diretta tra la sequenza codificante del gene originale e l’attività biologica della proteina. Esistono alcuni studi che confermano questa indipendenza causale: nel 2012 è stato reso noto uno studio che ha coinvolto 50.000 coppie di gemelli monozigoti, e che dimostra che non esiste una vera e propria base genetica per le malattie.
Dato che risale al 2001 il sequenziamento completo del genoma umano, non è un’impresa impossibile capire se esiste un nesso causale tra geni anomali e insorgenza delle malattie. Ad oggi la risposta sembra negativa. Tenendo conto di tutti questi dati, sia teorici che sperimentali, Arto Annila (docente di fisica all’Università di Helsinki) e Keith Baverstock (dell’Università di Eastern) propongono una rifondazione della biologia sul modello dei sistemi dissipativi complessi.
Siccome l’energia fluisce dentro e fuori l’organismo, il secondo principio della termodinamica impone che questi flussi tendano alla massima efficienza (seguendo il percorso di minor resistenza) nello spazio. Scambi di energia possono dare origine a nuove proprietà emergenti che modificano i flussi stessi dando origine a proprietà non previste. Il risultato è l’evoluzione dal semplice al complesso, la differenziazione in forme e funzioni, la varietà del vivente.
Tutto questo senza invocare il potere causale dei geni. Di conseguenza, la selezione naturale agisce sulla variazione di qualsiasi meccanismo che consuma energia dall’ambiente, piuttosto che sulla variazione genetica, e i geni sarebbero soltanto un mezzo per specificare polipeptidi: quelli che servono consumo di energia libera in un determinato ambiente contribuiscono al fenotipo cellulare – e qui Dawkins non sarebbe ovviamente d’accordo.
Le conseguenze di questo studio non investono solo la teoria, non ci dicono solo qual è il modo migliore di portare avanti l’eredità darwiniana. Ci permettono anche di prendere posizione su alcuni temi che interessano la nostra salute. Semplificando, se le malattie derivano più dall’ambiente che dai geni, allora diventano inutili tutte quelle strategie sanitarie che si basano sul sequenziamento del genoma per “prevedere” le patologie. È facile comprendere che questo è solo l’inizio della storia. Paper di riferimento: Arto Annila e Keith Baverstock, Genes without prominence: a reappraisal of the foundations of biology, in “Journal of the Royal Society Interface”, 2014: http://rsif.royalsocietypublishing.org/content/11/94/20131017.short.
scaldati che ti passa.