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M’ammalia: dietro le quinte dell’evoluzione con Alfred R. Wallace

Scritto da Annalisa Arci il 28.10.2013

Come è noto, l’evoluzione ha due padri: Charles Darwin (1809-1882) e Alfred R. Wallace (1823-1913). A pochi anni di distanza, e in modo indipendente, entrambi hanno elaborato teorie molto simili esposte per la prima volta in due saggi del 1858 che passarono quasi inosservati. Proprio l’anno successivo, però, Darwin all’Editore Murray di Londra un ampio “riassunto” del sue lavoro ventennale, L’origine delle specie che ebbe subito grande risonanza e divenne la bandiera dell’evoluzionismo.

Il rapporto di stima ed amicizia tra Darwin e Wallace è stato spesso frainteso dalla storiografia al punto che alcuni aderirono all’idea di una “Darwin Conspiracy” (così si esprimeva Roy Davies nel suo The Darwin Conspiracy: Origins of a Scientific Crime, Golden Square Books, 2008). Oggi questa idea è finalmente superata e lascia spazio alla possibilità di mettere in evidenza analogie, differenze e, soprattutto, le peculiarità di ciascuno dei due grandi naturalisti. 

Un humus culturale comune. Entrambi basavano il loro pensiero su numerose osservazioni dirette (compiute soprattutto in viaggio), che evidenziavano la varietà di specie in una stessa regione e l’adattamento al diverso tipo di habitat e di alimentazione. E queste osservazioni vennero interpretate alla luce di alcuni suggerimenti forniti dal geologo C. Lyell e dall’economista T. Malthus.

L’attualismo geologico di Lyell prevedeva la presenza di forze naturali continue e lente, capaci di modellare la struttura terrestre nel corso delle ere geologiche. Di qui l’idea dell’azione di piccole variazioni nella forma degli organismi che, trasmettendosi sessualmente da una generazione all’altra, avrebbero potuto formare l’infinita varietà di specie che vediamo. E siccome la variabilità di ciascuna specie è un fenomeno individuale, del quale la selezione naturale approfitta solo quando torna a vantaggio della specie, il grado di modificazione delle diverse specie non è qualcosa di preordinato o uniforme sul piano quantitativo.

Da Malthus deriva l’idea di una continua lotta per l’esistenza, generalizzabile a tutti gli organismi viventi, e il cui risultato sarebbe quello di favorire i più adatti (selezione naturale). Malthus è, infatti, noto per aver intuito che le popolazioni umane tendono a crescere in progressione geometrica, mentre le risorse alimentari in natura crescono in progressione aritmetica, comportando una scarsità di risorse a danno degli individui più deboli, destinati per questo a soccombere.

La selezione naturale e l’ambiente. Ispirato da uno dei capolavori di Darwin, Viaggio di un naturalista intorno al mondo, Wallace decise di partire per l’Amazzonia per censire nuove specie e per raccogliere esemplari di insetti da rivendere a facoltosi collezionisti. Cercare le cause dell’evoluzione nei viaggi tra la fauna e la flora del Rio delle Amazzoni e dell’arcipelago Malese. Nel 1855, mentre era nel Borneo, Wallace scrisse il saggio Sulla legge che ha regolato l’introduzione di nuove specie (On the law which has regulated the introduction of new species), in cui esponeva per la prima volta il concetto di selezione naturale.

Da qui in poi la storia è nota. La riassumo. Wallace espose le proprie idee in un breve articolo (On the tendency of varieties to depart indefinitely from the original type) che spedì a Darwin per la pubblicazione. Darwin non potè non esserne turbato: l’ipotesi di Wallace era identica alla sua e lui ci stava lavorando da vent’anni. Dopo aver letto il manoscritto, che riteneva pubblicabile, lo inviò a Charles Lyell; e fu proprio quest’ultimo che spronò Darwin a pubblicare, insieme all’ articolo di Wallace, alcuni estratti dei propri scritti. La lettura dell’articolo congiunto, avvenuta il primo luglio 1858 alla Linnean Society, rappresentò l’enunciazione ufficiale della teoria della selezione naturale.

Va però ricordato che solo nel 1858 Wallace intuì che la selezione naturale poteva essere il meccanismo alla base della modificazione dei viventi e della comparsa di nuove specie – dell’evoluzione appunto. Ma mentre  Darwin aveva intuito l’importanza della selezione naturale nel 1838, Wallace ci arrivò vent’anni dopo. Ma qui non sono tanto importanti i tempi, quanto piuttosto il significato che i concetti assumono all’interno del quadro teorico di riferimento. Wallace sosteneva che la selezione naturale fosse un meccanismo che induceva le specie ad adattarsi all’ambiente, mentre Darwin sottolineava maggiormente l’aspetto legato alla lotta per la sopravvivenza tra individui della stessa specie.

Adattamento ontogenetico o competizione infraindividuale? Non che si possa parlare di una visione endogena dell’evoluzione che si oppone ad una esogena; tuttavia l’insistenza sui fattori ambientali conduce Wallace ad abbracciare posizioni teoriche e filosofiche assai lontane da Darwin. Il primo passo consiste nella fondazione di una scienza, la biogeografia. Wallace è noto per aver introdotto la linea di Wallace (così chiamata da Thomas Huxley), una linea immaginaria che separa la regione asiatica dall’Oceania. Il problema da risolvere era questo: come mai esistono differenze così marcate nella fauna di aree geografiche adiacenti? Wallace le spiegava appellandosi alla diversa storia geologica dell’area indo-malese rispetto a quella dell’area australiana, una storia che ha giocato un ruolo chiave nell’evoluzione indipendente delle nicchie faunistiche.

File:Línea de Wallace.jpg

Linea di Wallace. (Crediti: Wikipedia).

La selezione naturale e il vitalismo. Wallace e Darwin partirono dalle stesse convinzioni in merito alla condizione del genere umano: come accade per le altre specie e per i generi naturali, anche il genere umano è il risultato dei meccanismi evolutivi. All’inizio della sua attività scientifica Darwin era convinto che Dio avesse creato il genere umano attraverso leggi naturali, ma ben presto si spostò verso posizioni più materialistiche, volte ad escludere l’intervento divino. Wallace ebbe, invece, un’evoluzione di pensiero opposta. Intorno al 1860 abbracciò senza riserve lo spiritualismo, impegnandosi a sostenere che una mente intelligente governa il cosmo. 

E sarebbe questa intelligenza cosmica la vera causa dell’evoluzione, una causa immateriale e decisamente non fisica, cui Darwin oppone la selezione sessuale come causa fisica soprattutto nella sua opera del 1871, L’origine dell’uomo.

In conclusione possiamo ricordare che l’evoluzione agisce a vari livelli: nel gene, negli organi, negli individui e nelle specie. E Darwin lo sapeva fin troppo bene. Di Wallace invece si può dire che, rispetto a Darwin, “non aveva affatto capito il concetto di livello ed era rimasto così legato al concetto di adattamento da oscillare in su e in giù tra le gerarchie, senza rendersi conto del problema concettuale che ciò implicava”, (Stephen J. Gould, La struttura della teoria dell’evoluzione, Codice Edizioni, 2003, p.86).

Anche se le rigide dicotomie tendono a semplificare più che a spiegare, è innegabile che le campagne contro la vaccinazione che lo impegnarono negli ultimi anni della sua vita, lo spiritualismo e il tentativo di mostrare che esiste una supermente che pervade il cosmo – una prospettiva molto vicina al vitalismo – fanno di Wallace una figura poliedrica e del tutto peculiare.

 

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