La situazione di crisi delle aree protette marine registra, ormai ogni giorno di più, allarmanti conferme. Ultima in ordine di tempo la lettera del presidente di Federparchi Sammuri al ministro Clini per chiedere solleciti interventi per evitarne la chiusura. Ma la vicenda del Giglio e i bidoni avvelenanti dell’Arcipelago Toscano avevano già drammaticamente evidenziato la stato preoccupante del Santuario dei cetacei di cui recentemente si è discusso all’Accademia Navale di Livorno con la regione Toscana e Ligure.
D’altronde già da diversi anni la crisi delle aree protette marine è oggetto di denunce a tinte forti che hanno parlato ora di stato preagonico, di rischio chiusura tanto che si era riusciti a mettere in crisi persino situazioni come quella di Ustica, una delle poche aree protette insieme a quella di Miramare, funzionante. Tanto è vero che si pensò circa tre anni fa per porvi rimedio ad una nuova legge dedicata appunto esclusivamente alle aree protette marine, testo poi rapidamente e frettolosamente esteso anche alle altre. Si trattò, come in pochi denunciammo allora, di una operazione doppiamente provocatoria sia perché attribuiva alla legge quadro responsabilità e inadempienze dovute unicamente ad una gestione ministeriale pretenziosamente centralistica avviata subito dopo l’entrata in vigore della 394 e mai più abbandonata, sia perché come vedemmo dal primo testo del Senato, ne approfittava per rincarare la dose con una gestione ancor più rovinosa.
E siccome siamo alla vigilia di alcuni appuntamenti politico-istituzionali e culturali importanti compresi alcuni rinnovi di presidenze come al parco dell’Arcipelago Toscano, il Congresso di Federparchi e l’incontro di maggio del Gruppo di San Rossore, sarà bene ricordare alcuni passaggi e precedenti che sembrano essere spariti nel nulla e dimenticati. E da ricordare è innanzitutto che delle aree protette marine prima ancora della legge 394 si era occupata la legge sul mare che non a caso riguardava e riguarda le nostre coste da allora non più considerate esclusivo affare dello stato e in riferimento unicamente alla difesa. Quella legge sottoponeva, infatti, le coste ad una politica ambientale della stato e delle regioni che avrebbero dovuto provvedere ai piani costieri regionali per frenare la speculazione che aveva già divorato chilometri e chilometri di coste e di dune. Legge che prevedeva anche la istituzione di aree protette marine sia pure gestite senza quei criteri di coinvolgimento istituzionale che avrebbe poi introdotto la legge 394.
Una legge che in Commissione Affari Costituzionali della Camera aveva visto una conclusione mal digerita e non condivisa dal ministro della Marina Mercantile Calogero Mannino che la considerò troppo di manica larga nei confronti delle regioni (tanto per cambiare). La legge 394 estese questa competenza regionale anche ai parchi marini nazionali e nei brevi tratti di costa prospicenti con proprie aree marine. Era inoltre stabilito che se le aree protette marine erano confinanti con un parco terrestre ad esso doveva esserne affidata la gestione. Ma evidentemente non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire e così Ronchi con il pretesto che il parco di Portofino era ora regionale e non più nazionale l’area marina decise di affidarla ad un Consorzio separato dal parco.
Questa decisione e la sua motivazione fu considerata qualche anno dopo del tutto infondata dalla Corte dei Conti sia in riferimento alla 394, ma anche alla 426: il ministero continuò ad infischiarsene. E’ a quel punto che Federparchi d’intesa con la Regione Marche decise di costituire un proprio strumento CIP (coste italiane protette) che facendo base al Parco del Conero elaborò posizioni e proposte raccolte in libri e documenti che coinvolsero tra tanti altri il prof Greco che era stato l’artefice principale della legge sul mare. Ed è a nome di CIP e quindi di Federparchi che alla seconda Conferenza nazionale dei parchi di Torino presentai quelle nostre idee nella sezione dedicata alle aree protette marine presieduta dall’allora direttore del ministero Cosentino. Ricordo che dopo di me parlò il comandante della Capitaneria di Porto di Genova che esordì dichiarandosi d’accordo con quanto avevo detto e cioè che la gestione delle aree protette marine doveva riguardare soprattutto le istituzioni a partire da quelle locali. Il documento finale della Conferenza incluse CIP tra quegli obiettivi già presenti nella legge 426. Purtroppo poi non se ne fece di nulla come non si fece di nulla di altre proposte che anche come Centro studi Giacomini avanzammo ad esempio in un incontro al parco della Maddalena a cui intervenne anche l’attuale ministro Barca allora da poco sbarcato al ministero di Ciampi. Ma a tutto questo abbiamo dedicato recentemente un tosto volume sulle aree protette marine della Collana ETS curato da Fabio Vallarola direttore dell’area marina Torre del Cerrano discusso anche in un incontro in San Rossore un po’ di mesi fa.
Venendo all’oggi e agli appuntamenti ravvicinati che ci aspettano non si può non ripartire dagli sconcertanti silenzi che continuano su un testo che ai primi articoli ha addirittura previsto di cancellare il riferimento della 394 ai brevi tratti di costa prospicienti che specie dopo il Giglio appare addirittura provocatorio e irresponsabile. Insomma niente pi camera con vista sul mare per le regioni. Ora mi chiedo come sia possibile non dire nulla su questo come nulla fu detto quando l’UPI prima e poi Calderoli proposero l’abrogazione e scioglimento dei parchi regionali. Non ho dimenticato che all’ultimo congresso di Federparchi a Roma ne parlai solo io a nome di Legautonomie. Il tutto fece da battistrada e si accompagnò alle prime sconcertanti sortite della Prestigiacomo su poltronismo, privatizzazione che al momento restano le sole idee -si fa per dire- in circolazione. E non è meno sorprendente che né al Senato né nei vari incontri dedicati al ventennale della legge quadro non un parola sia stata dedicata al ministero, alla sua struttura priva ormai da anni di qualsiasi sede, strumento e tavolo dove i parchi possano fare la loro parte come possono farla comuni, province e regioni peraltro neppure consultati al Senato. Si è discusso recentemente del ruolo della scienza in rapporto alla gestione dei parchi e delle aree protette ma il ministero non ha più riunito la Consulta Tecnica da anni tanto che il prof Sandro Pignatti mi ha espresso tutta la sua amarezza per essere stato a suo tempo designato a farne parte ma di non essere mai stato convocato.
Speriamo che questa volta nessuno faccia lo gnorri.