Sono da poco passati 20 anni dall’approvazione della Legge Quadro sulle aree naturali protette, la n. 394/91, cui tanto deve la conservazione della natura nel nostro Paese. Non bisogna dimenticare, infatti, che in questi due decenni siamo passati da poco più del 3% di italiche terre emerse tutelate ad oltre l’11%. Cui va aggiunto un ulteriore 6% circa di zone individuate quali SIC (siti di importanza comunitaria per la Direttiva Habitat) e di ZPS (zone di protezione speciale ai sensi della Direttiva Uccelli).
Ora, in un Paese normale, è ovvio che queste zone ritenute importanti per la conservazione della natura dell’intera Unione Europea debbano divenire aree naturali protette dell’Italia. Ma da noi no. Prima si son presi gli “euri” di Bruxelles per fare studi, ricerche, mappature, poi ci si è persi nell’arrampicarsi su specchi molto lucidi per non fare di queste aree importanti dei parchi o delle riserve.
Del resto assistiamo anche a tentativi di far riconoscere zone non protette nell’ambito della World Heritage List dell’Unesco.
Una delle poche soluzioni coerenti sarebbe quella di dare rilievo e compiti alle aree protette, al di là delle loro denominazioni, con criteri di classificazione internazionalmente riconosciuti, quali solo quelli dell’IUCN (Unione internazionale per la conservazione della natura) possono essere.
Questo è uno dei punti qualificanti necessari ad una eventuale riforma della legge 394/91 che vede molto impegnata una parte della politica, mentre molti addetti ai lavori assistono un po’ stupiti a quanto accade.
Certo ci sono state prese di posizione importanti, ma pare quasi che il problema sia solo dei rappresentanti del popolo.
Come dire: “ci avete votato e noi risolviamo i problemi”.
Ora questa è sicuramente una versione ridotta e riduttiva di quel che deve essere una democrazia in una moderna società complessa, quale è quella italiana.
Sicuramente occorre molta “governance” per poter gestire un parco. Certo non ne serve meno per fare politica.
Allora se si insiste per fare una legge sugli interventi chirurgici senza ascoltare infermieri, anestesisti e medici… forse si sbaglia.
Allora perché non si comprende che l’opinione di chi ogni giorno lavora alla gestione quotidiana di un parco è importante?
Possibile che non si possa coinvolgere seriamente forestali, impiegati, funzionari, direttori, consiglieri, sindaci, studiosi, tecnici e politici esperti del settore?
Si dirà che i lavori parlamentari sono stati preceduti da un’ampia consultazione, il che è vero. Ma se la consultazione produce dei risultati che non vengono presi in considerazione? Questo è un interessante quesito politico-legislativo…
Forse un attimo di riflessione in più non guasterebbe.
Anche perché assistiamo ad alcune riforme legislative regionali che vanno ognuna per conto loro. Mentre il “sistema” delle aree naturali protette continua a subire riduzione di personale e di fondi.
Forse il titolo del dibattito organizzato dall’AIDAP (associazione italiana direttori e funzionari delle aree protette), a Roma il 13 aprile presso il Parco regionale dell’Appia Antica, è proprio azzeccato: “Italia 2012: c’è una politica per le aree protette?”.
Buona Pasqua a voi tutti.
Chissà perché si omette sempre di indicare quali sono questi professionisti del settore e si preferisce buttare in un unico calderone “forestali, impiegati, funzionari, direttori, consiglieri, sindaci, studiosi, tecnici e politici esperti del settore”.
In Italia, gli unici professionisti che seguono un percorso di studi finalizzato alla conservazione della natura sono i naturalisti. Poi ci sono i biologi con indirizzo bioecologico e simili e, in parte, i laureati in scienze forestali.
Tutti gli altri presunti esperti di gestione di parchi e riserve naturali – ingegneri, architetti, geometri, sociologi, letterati, giornalisti, agronomi – usurpano un mestiere che, semplicemente, non compete loro. E non occorre, o meglio, in un paese serio non dovrebbe essere necessario, spiegare il perché.
…non sono d’accordo interamente con Saverio, certo il sistema Parchi puo’ anche reperire fondi autonomamente (In Nord-America e’ prassi comune per i privati abbienti impegnarsi in attivita’ di beneficienza) ma se per autofinanziarmi sono costretto a tagliare il bosco o ad autorizzare la centralina idroelettrica o l’impianto da sci allora abdico alla mia funzione istituzionale che e’ la CONSERVAZIONE. In realta’ i Parchi sono un bene di tutti , un assett ed una risorsa per il Paese per cui hanno piu’ che diritto ad essere finanziati con i soldi dei contribuenti , il problema e’ come gestire e da chi sono gestiti questi soldi…..o vogliamo chiudere gli ospedali , l’universita e la scuola pubblica solo perche’ in questo paese sono inefficienti fonte di sprechi e forniscono cariche e stipendi a politici trombati ed ai loro familiari ?? (tutto cio’ avviene anche nei Parchi …se non di piu’) Il problema vero e’ come liberare il Paese da una classe di politici e funzionari statali in buona parte disonesta e famelica che sta spolpando tutto cio’ che poteva .
Capisco lo scoramento di Saverio, ma non si deve scambiare il bambino con il pannolino usato!
I parchi, in tutto il mondo, sono una speranza per il futuro, una politica d’emergenza. Tutelano luoghi straordinari prima che siano persi per sempre.
Perché come H.D. Thoreau): la salvezza del mondo è nei territori selvaggi.
Questa è la mission.
Se poi le strutture di gestione, quindi gli enti parco, siano da riformare, cambiare, riorganizzare, abolire… beh il dibattito è aperto!
I parchi sono solo carrozzoni mangia soldi e merce di scambio politico. Ci vorrebbe una legge che consentisse ai Parchi di autogestirsi con le proprie risorse e non sperperando il denaro dei contribuenti!