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Biodiversità dei mammiferi placentati è esplosa dopo l’età dei dinosauri

Il set di dati utilizzato in questa ricerca è di un ordine di grandezza 10 volte più grande di quanto sinora utilizzato per studi analoghi sui mammiferi

Scritto da Paolo Ferrante il 11.02.2013

L’avvento dei mammiferi è stato possibile solo dopo la scomparsa dei dinosauri, ma come questo sia avvenuto non è ancora chiaro. Ora un team internazionale di ricercatori ha ricostruito l’antenato comune dei mammiferi placentati, un gruppo estremamente diversificato che comprende animali che vanno dai roditori alle balene agli esseri umani, utilizzando il set di dati più grande del mondo dei tratti genetici e fisici.

Mammifero antenatoNella ricerca, che sarà pubblicata sulla rivista Science, gli scienziati rivelano che, in contraddizione con una diffusa teoria, i mammiferi placentati non si sono diversificati per costituire le attuali linee evolutive fino a dopo l’evento di estinzione dei dinosauri, che ha eliminato i dinosauri non-avicoli (gli uccelli) e circa il 70 per cento di tutte le specie sulla Terra, circa 65 milioni di anni fa. Questa scoperta e l’individuazione di quello che potrebbe essere il primo nostro antenato, un piccolo animaletto mangia-insetti, sono state realizzate con l’aiuto di un potente database accessibile al pubblico chiamato MorphoBank. L’articolo di Science è il risultato di un progetto pluriennale di collaborazione finanziato dalla National Science Foundation.

“L’analisi di questa enorme mole di dati dimostra che i mammiferi placentati non hanno avuto origine durante il Mesozoico,” ha detto l’autore Maureen O’Leary, professore associato presso il Dipartimento di Scienze anatomiche nella Scuola di Medicina presso la Stony Brook University e ricercatore associato presso il Museo Americano di Storia Naturale. “Specie come roditori e primati non sono apparsi sulla Terra con i dinosauri non-avicoli, ma hanno un antenato comune, un piccolo placentato che si nutriva di insetti, che ha avuto vita facile appena dopo la scomparsa dei dinosauri.”

Ci sono due principali tipi di dati che si utilizzano per la costruzione di alberi evolutivi della vita: i dati fenotipici, tratti dall’osservazione, come l’anatomia e il comportamento, e i dati genomici, ossia il DNA. Alcuni studiosi hanno sostenuto che sia necessaria l’integrazione di entrambi per la costruzione di un albero robusto, perché l’esame di un solo tipo di dati (genomici o fenotipici) ometterebbe informazioni significative. La storia evolutiva dei mammiferi placentati, per esempio, è stata interpretata in modi molto diversi a seconda dei dati analizzati.

Un’analisi dei dati genomici ha previsto che un certo numero di linee evolutive di mammiferi placentati esisteva nel Tardo Cretaceo ed è sopravvissuto all’estinzione del Cretaceo-Paleogene (KPG). Altre analisi hanno però collocato l’inizio della differenziazione dei mammiferi placentati vicino a questo limite oppure dopo questo evento.

“Ci sono oltre 5100 specie viventi di placentati che mostrano un’enorme diversità, sia per quanto riguarda le dimensioni che per tipo di capacità motoria, o per le dimensioni del cervello”, ha detto Nancy Simmons, autrice della ricerca e curatrice del Museo Americano di Storia Naturale. “Tenuto conto di questa diversità, è di grande interesse sapere quando e come è iniziata la sua evoluzione e diversificazione”.

Il nuovo studio combina dati genomici e fenotipici in una analisi simultanea, per ottenere un quadro più completo dell’albero della vita.

“Nonostante i notevoli contributi dati dal sequenziamento del DNA per lo studio delle relazioni tra le specie, i dati fenomenici hanno un ruolo importante nella ricostruzione diretta degli alberi”, ha detto l’autore Michael Novacek, vice presidente e curatore di paleontologia presso il Museo Americano di Storia Naturale. “Tali dati includono le funzionalità di fossili conservati in cui il recupero del DNA può essere impossibile. Il record dei mammiferi è notevolmente arricchito da fossili ben conservati, e noi non vogliamo costruire alberi senza utilizzare la prova diretta che questi fossili possono contribuire a dare.”

“Ricostruire l’albero della vita è come mettere insieme la scena del crimine: è una storia che è avvenuta nel passato e che non si può ripetere”, ha detto O’Leary. “Proprio come con una scena del crimine, i nuovi strumenti per l’analisi del DNA aggiungono informazioni importanti, ma lo fanno anche altri indizi fisici, come i fossili e lo studio della loro anatomia. La combinazione di tutti gli elementi di prova produce una ricostruzione più informata di un evento passato”.

L’albero della vita prodotto in questo studio dimostra che i mammiferi placentati sono cresciuti rapidamente dopo l’estinzione KPG, con l’antenato originale che ha iniziato a differenziarsi circa 200.000-400.000 anni dopo l’evento.

“Si tratta di circa 36 milioni di anni dopo la previsione sulla base di dati puramente genetici”, ha detto Marcelo Weksler, autore e ricercatore associato nella sezione di Teriologia del Museo e che ora lavora presso il Museu Nacional-UFRJ in Brasile.

La scoperta contraddice anche un modello genomico “Rivoluzione terrestre del Cretaceo”, che sostiene che l’impulso per la speciazione nei mammiferi placentati è stata la frammentazione del supercontinente Gondwana durante il Giurassico e Cretaceo, milioni di anni prima dell’evento KPG.

“Il nuovo albero indica che la frammentazione del Gondwana è avvenuta ben prima dell’origine dei mammiferi placentari ed è un evento indipendente,” ha dichiarato John Wible, autore dello studio e curatore dei mammiferi presso il Carnegie Museum of Natural History.

Come parte dello studio, i ricercatori hanno utilizzato MorphoBank, iniziativa finanziata principalmente dalla National Science Foundation (NSF), sostenuta anche dalla Stony Brook University, il Museo Americano di Storia Naturale, e la National Oceanic and Atmospheric Administration, per registrare i tratti fonomenici di 86 specie di mammiferi placentati, di cui 40 specie fossili. Il set di dati risultante ha più di 4.500 caratteri che descrivono caratteristiche come la presenza o l’assenza di ali, denti e ossa, e le strutture presenti nel cervello, così come più di 12.000 immagini di supporto, tutto on-line a disposizione del pubblico. Il set di dati è un ordine di grandezza 10 volte più grande di quanto sinora utilizzato per studi analoghi sui mammiferi.

La squadra ha ricostruito l’anatomia dell’antenato comune di tutti i placentati combinando i dati genomici e le caratteristiche dei mammiferi placentati con quelli osservati nei loro parenti più stretti. Questo metodo, noto come ottimizzazione, ha permesso ai ricercatori di determinare quali caratteristiche si sono presentate per la prima volta negli antenati comuni dei mammiferi placentati e anche quali caratteristiche sono state mantenute invariate. I ricercatori hanno concluso che l’antenato comune ha caratteristiche come l’utero bicorne, un cervello con una corteccia cerebrale contorta e una placenta in cui il sangue materno va a stretto contatto con le membrane che circondano il feto, come negli esseri umani.

Inoltre, lo studio rivela che un ramo dell’albero dei mammiferi placentati chiamato Afrotheria (perché questi animali, che vanno dagli elefanti agli oritteropi vivono in Africa oggi) non hanno avuto origine in quel continente, ma piuttosto nelle Americhe.

“Determinare come questi animali siano riusciti a raggiungere l’Africa è ormai una questione importante che potrà essere indagata insieme a molte altre domande utilizzando i dati MorphoBank e l’albero prodotto in questo studio”, ha detto l’autore Fernando Perini, un post-dottorato presso il Museo Americano di Storia Naturale che ora è professore presso l’Università Federale di Minas Gerais in Brasile.

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