I ricercatori statunitensi del Craig Venter Institute di La Jolla, California, sono riusciti a progettare e sintetizzare un genoma batterico minimo, contenente solo 473 geni, quelli necessari per la vita.
La notizia, pubblicata dalla rivista Science, ha destato scalpore, come era facilmente presumibile.
Ripresa da tutti i media, discussa e criticata, ci pare utile esporla per sommi capi e con un linguaggio non troppo tecnico anche in questa sede, senza tuttavia addentrarci in questioni etiche che esulano gli scopi divulgativi, di natura prettamente scientifica, della rivista.
Il team che ha condotto la ricerca aveva costruito e avviato la prima cellula sintetica auto-replicante già nel 2010, provando che i genomi possono essere progettati anche al computer, realizzati in laboratorio e quindi trapiantati in una nuova cellula che si può riprodurre, ma controllata solo dal genoma sintetico.
I ricercatori hanno sintetizzato un genoma batterico minimo che contiene solo i geni necessari per la vita (crediti: C. Nickel / Science, 2016)
L’obiettivo era stato fissato dai biologi Craig Venter e ClydeHutchinson oltre vent’anni fa, nel 1995, ed era quello di sintetizzare una cellula base per sostenere la vita nella sua forma più semplice; sforzo che, nelle intenzioni dei due studiosi, avrebbe potuto aiutare la scienza a comprendere la funzione di ogni gene ‘essenziale’ delle cellule.
“La nostra visione a lungo termine è stata quella di progettare e costruire organismi sintetici cui si possano aggiungere funzioni specifiche e prevedere quale sia il risultato”, dichiara oggi Daniel Gibson, vice presidente per le tecnologie del DNA della Synthetic Genomics Inc.
Venter, dal canto suo, ritiene che si sia aperta una nuova éra nella ricerca.
Ma guardiamo da dove si è partiti.
Un primo successo era stato conseguito nel 2010 usando come modello un batterio, il Mycoplasma mycoides, le cui cellule hanno i più piccoli genomi in grado di replicarsi in modo autonomo.
Sulle sue basi, sono stati progettati in laboratorio ipotetici genomi su otto segmenti diversi per classificare quali geni fossero essenziali per la vita e quali servissero solo per una crescita robusta, ma non fossero necessari per vivere.
E’ stata così ottenuta la prima cellula batterica sintetica con genoma artificiale, in grado di replicarsi in modo autonomo, una cellula ‘minimale’, che è cioè in grado di sostenere la vita ‘nella sua forma più semplice’.
L’obiettivo era, infatti, quello di utilizzare il minor numero di geni perché un organismo potesse vivere e riprodursi.
Come si è arrivati fin qui?
L’ingegneria genetica ha offerto gli strumenti indispensabili per mettere in atto le possibilità teorizzate.
Alterando le sequenze dei geni con l’inserimento di sequenze estranee, si poteva verificare quali fossero i geni essenziali per una vita batterica e quali potessero essere semplicemente eliminati, come superflui.
Senza entrare nel merito di dettagli troppo specifici e anche difficilmente descrivibili, diciamo che si è provveduto all’analisi, gene per gene, per vedere quali di questi fossero essenziali perché l’organismo vivesse e su quali le alterazioni prodotte non avevano alcun effetto, dal momento che esistevano altri geni con identiche funzioni.
La versione finale è stato il genoma ottenuto nel trascorso mese di marzo e siglato JCVI-syn3.0, che comprende 473 geni, il numero di geni più piccolo di qualsiasi altra cellula esistente in natura, ma consistente solo di geni necessari.
Restano al momento sconosciute le funzioni del 31 per cento di questo genoma minimo.
“Le possibili applicazioni sono svariate”, commenta Silvia Garagna, biologa dello sviluppo all’Università d Pavia. “Produrre farmaci, purificare l’ambiente da agenti inquinanti, catturare anidride carbonica, produrre nuovi idrocarburi. Sono tutti obiettivi da verificare nel tempo”.
Rimangono le implicazioni di natura etica. Ma qui si apre una serie di valutazioni, la cui esposizione, come anticipato in apertura, si ritiene esuli dallo scopo meramente informativo di questo articolo.