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Il Capriolo come mezzo per educare

Scritto da Redazione di Gaianews.it il 29.04.2012


In questi giorni e fino alla metà di maggio nascono i piccoli di capriolo. Potrà capitarci, o magari ci è già capitato, se passeggiamo in campagna, di incontrare dei piccoli. Cosa dobbiamo, ma soprattutto cosa non dobbiamo fare se ci accade? Franco Perco, direttore del Parco dei Sibillini ha postato pochi giorni fa le istruzioni per l’uso per questa situazione sulla pagina di facebook del Parco dei Monti Sibillini. Possiamo leggerle qui di seguito.

Un caprioletto nasce verso la metà maggio, talvolta un po’ prima. Un piccolo di Capriolo è proprio il “vero” Bambi. Il nome Bambi deriva da bambino, sì da bambino. Così lo chiamò il suo inventore, l’austro-ungherese Felix SALTEN. Il libro apparve nel 1923 e i diritti furono ceduti successivamente a Walt DISNEY che ne fece un Cervo della Virginia (1942). “Bambi” non è mai abbandonato dalla Mamma, ma, come molte specie di “macchia”, nelle prime settimane viene accudito solo quando ha fame. La madre lo sorveglia e lo vigila a distanza. Poi, ogni tante ore, lo nutrisce e lo conforta. Quando è cresciuto, dopo ben più di un mese, solo allora la seguirà sempre. Prima no. Prenderlo, toccarlo, salvarlo (???) è un errore spesso fatale. Anche se viene riportato dov’era, può essere rifiutato, perché l’odore dell’Uomo lo copre come un drappo funebre. E allora “Bambi” muore, per fame. NON toccatelo! Lasciatelo dov’è. Avvertite piuttosto il Parco e segnalate la presenza di questo essere indifeso. Indifeso, anche nei confronti della pietà umana, che in questo caso è molto, molto, sbagliata. E, per finire. Ricordiamo che allevare un Capriolo nato da poco è assai difficile: si corre persino il rischio di influenzare negativamente la sua psicologia. Si chiama “maleimpronta” quando un piccolo, spesso un neonato, crede di essere un’altra specie: quella che lo ha allevato. Lasciamolo in pace, piuttosto, e non trasformiamolo in un adolescente deviato. Conserviamo “Bambi” alla Natura!

Secondo Perco il capriolo potrebbe essere “un punto di forza per le Aree protette e non venatorie.”
“Nell’elenco dei mezzi per la gestione (turismo, economia ecc.)” spiega Perco “non è compresa l’educazione alla Natura, strumento fondamentale nel lungo periodo. Invece la capacità educatrice del Capriolo sarebbe molto alta. I processi identificatori sono semplici e automatici: Bambi piace a tutti.
Un animale minuto e aggraziato, fin troppo simile, come comportamento, all’uomo. O meglio alla parte migliore di lui. La possibilità di creare una maggiore sensibilità naturalistica non va gettata via. I metodi possono essere molteplici, dalle aree faunistiche ai centri di recupero e riabilitazione, all’adozione di un piccolo, alle lezioni di campagna. Ma l’asso nella manica è l’osservazione. Non basta sapere che c’è. Deve essere centellinato, riconosciuto, apprezzato. Il Capriolo in questo caso rappresenta il primo passo, un passo facile, per l’evoluzione della sensibilità individuale nei confronti della natura selvatica.”

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