Riceviamo e pubblichiamo una lettera del dottor Aldo Di Benedetto, già Direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, a seguito dell’articolo sull’intervento del professor Luigi Boitani avvenuto durante il press-tour organizzato dal Parco Nazionale d’Abruzzo.
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Il professor Luigi Boitani, al recente press-tour organizzato, nell’ambito del progetto LIFE ARCTOS, nella sede del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, rivolto ai giornalisti ha richiamato, ancora una volta, l’attenzione sullo stato critico della popolazione dell’Orso bruno marsicano, ridotta a circa 40 individui e sul rischio di estinzione della specie. Il professore ha aggiunto che “dal 2000 la maggior parte delle morti deriva dall’avvelenamento” precisando che “è estremamente semplice procurarsi i comuni insetticidi o antiparassitari per le piante che possono avere un effetto letale, come successe per l’avvelenamento dell’Orso bernardo nel 2007”.
Proprio negli ultimi mesi della mia esperienza alla direzione del PNALM mi sono scontrato con tale problematica che purtroppo ancora oggi minaccia la sopravvivenza dell’Orso marsicano. In verità, la tragica e sconcertante vicenda, che nell’ottobre 2007 ha coinvolto tre orsi, tra cui l’Orso Bernardo, provocò solo una “tempesta mediatica” che si protrasse per quasi due mesi, durante i quali furono formulate le ipotesi più disparate sulle responsabilità, sul numero e sulle cause di morte dei tre orsi. Ciò che tenne banco sulle testate giornalistiche fu un inverosimile “giallo sulla fuga di notizie”. Il clamore fu tale da scatenare una ridda di dichiarazioni e di attacchi strumentali alla dirigenza dell’ente parco, che culminarono anche in interpellanze parlamentari. Per arricchire il clamore mediatico fu fatta circolare anche un’assurda notizia di due orsetti morti “a bastonate”. L’allora Ministro dell’Ambiente Pecoraro Scanio annunciò “una legge che vieti a chi non è autorizzato, l’acquisto di veleni”. Le associazioni ambientaliste puntarono il dito sulla scarsa sorveglianza e su misure idonee a reprimere tali crimini, offrendo persino una taglia per chi fosse disponibile a collaborare. Fu aperta un’inchiesta per individuare gli eventuali responsabili che purtroppo si è chiusa amaramente dopo alcuni anni con l’archiviazione degli atti.
Per meglio comprendere e contestualizzare l’avvenimento, devo ricordare che nel 2007 l’Ente Parco stava uscendo con successo da una serie di gravi empasse di carattere finanziario e gestionale – solo l’anno precedente si era conclusa la vicenda dei precari con la stabilizzazione di ben 76 dipendenti, i bilanci erano tornati in regola, il prestigioso Diploma Europeo era stato riconfermato, il 18 aprile 2006 a Pescasseroli fu sancita una grande alleanza istituzionale cui fece seguito la sottoscrizione del PATOM – per cui l’ente si avviava a riacquistare la necessaria capacità funzionale e il consenso della pubblica opinione. Tra aprile e maggio 2007 un’orsa ribattezzata “Rossella” pascolava tranquilla con tre orsetti, tra gli sguardi increduli degli automobilisti in transito sulla SR 83; per cui l’evento acquisì la ribalta mediatica con ampi servizi televisivi di “Uno Mattina” e di altri magazine.
Ma, l’orsa “Rossella” pascolava con i tre cuccioli proprio nell’area di Campomizzo, a confine dei comuni di Gioia de Marsi e Pescasseroli, proprio dove il 30 settembre, furono ritrovate le carcasse dell’Orso Bernardo, di altri due orsi, di un lupo e alcuni cinghiali avvelenati, una strage vera e propria. In considerazione della coincidenza dei luoghi e del rinnovato clima di consenso verso il Parco, ebbi la percezione immediata che eravamo di fronte a un episodio di gravità assoluta mai accaduto prima “un atto di ecoterrorismo”, pianificato e organizzato da soggetti spregiudicati, ostili e con interessi contrapposti al parco, una morte violenta da avvelenamento. Tuttavia, pur di fronte a tali evidenze, le mie dichiarazioni sulla stampa furono da alcuni aspramente contestate. In seguito ho atteso invano l’esito degli esami tossicologici che erano stati sottoposti a segreto istruttorio da parte della Procura della Repubblica, ma il 28 febbraio 2008 ho terminato il mio incarico alla direzione dell’Ente Parco. Solo dopo quattro anni, del tutto casualmente e da semplice cittadino, ho appreso che la sostanza implicata nell’avvelenamento è il Fenthion, un potente pesticida organofosforico che per la sua elevata capacità tossicologica è stato anche eliminato dall’uso agricolo, con cui sono state imbevute le esche, tra cui una carcassa di capra imbottita con diversi litri del veleno, abbandonate nel luogo sicuramente frequentato dagli orsi.
Purtroppo, dopo l’emergenza, i terribili fatti dell’ottobre 2007 sono stati “archiviati” anche dall’ente parco e dalla cronaca. Tuttavia il fenomeno dell’utilizzo di esche avvelenate, come sostenuto dal professor Boitani, è tuttora una minaccia incombente per l’Orso marsicano, su cui le autorità e gli enti preposti alla prevenzione e repressione dovrebbero concentrare la massima attenzione. Fra l’altro, ritengo sia stato un grave errore non aver reso noto con adeguata evidenza, anche attraverso una campagna di comunicazione, il pesticida e la modalità con cui è stata provocata la strage ; in effetti, dopo la fase di emergenza si e ridotta l’attenzione delle autorità preposte alla vigilanza e ai controlli, così com’è andato via via scemando il coinvolgimento della pubblica opinione.
Allora, dal 2007 a oggi diversi altri orsi sono morti per cause antropiche come reso noto dallo stesso Ente Parco, ma l’uso improprio dei veleni continua ancora a minacciare l’area protetta. Contrariamente a quanto sostenuto dall’ex Ministro Pecoraro Scanio, le norme che vietano a chi non è autorizzato l’acquisto di veleni ci sono; purtroppo esse non vengono rispettate e fatte rispettare adeguatamente! Il DPR 23 aprile 2001, n. 290 s.m.i, prevede una serie di procedure e provvedimenti riguardo l’abilitazione alla vendita, l’autorizzazione, l’acquisto di prodotti fitosanitari e la vigilanza sul rispetto di tali norme. Molto spesso chiunque pur senza patentino, acquista tali prodotti e ne fa l’uso che vuole. Molti rivenditori non rispettano le prescrizioni, eppure la legge prevede che i prodotti fitosanitari possono essere venduti soltanto a chi è munito di apposita autorizzazione rilasciata dall’ufficio regionale competente; fra l’altro, il rivenditore deve accertare l’identità dell’acquirente mediante esibizione di un valido documento di riconoscimento, i cui estremi devono essere annotati sul modulo per la fornitura. Anche per quanto riguarda le sanzioni amministrative e penali le norme sono già scritte negli articoli del codice penale 544 bis, 544 ter, 440 e 638, nella Legge 157/2002 e nella Legge 189/2004. Fra l’altro, alcune regioni si sono dotate di normative specifiche in materia di divieto alla detenzione e utilizzazione di esche avvelenate.
Pertanto, al di là delle dichiarazioni d’intenti e di proclami, per evitare che l’Orso marsicano possa ancora cadere vittima di avvelenamenti, ritengo che bisognerebbe costruire una strategia in cui tutti gli attori istituzionali, a partire dall’Ente Parco, Regioni, ASL, ISPRA, Ministero della Salute, Ministero delle Politiche Agricole, Ministero dell’Ambiente, nonché le Autorità e i corpi di vigilanza e sorveglianza, ognuna in ragione della propria competenza, siano coinvolti con la piena consapevolezza collettiva del problema; una strategia che abbia la capacità di focalizzare l’attenzione sui singoli dettagli significativi, che sia sensibile al contesto, che sia altamente affidabile e in possesso della cultura della segnalazione. In tal senso anche la comunicazione e il ruolo dei mass media giocano un ruolo importante, giacché promuovono e alimentano un processo di sensibilizzazione e di partecipazione attiva.
Aldo Di Benedetto
Nel breve commento alla mia lettera pubblicata il 18 maggio scorso, Stefano Orlandini ha colto nel segno quando sostiene che la proposta di un coordinamento tra i molti enti e autorità competenti, per far fronte alla salvaguardia dell’Orso marsicano, sia “impraticabile”. Invero, per motivi di spazio non ho voluto approfondire l’argomento ma, considerata l’opportunità che ci è offerta da “gaianews” , sottopongo all’attenzione dei lettori alcune ulteriori riflessioni sulle criticità in campo, a ragione della mia esperienza gestionale nel PNALM e del mio “osservatorio” arricchitosi, negli ultimi dieci anni, di studi, conoscenze e competenze nel campo della scienza e cultura della complessità , del management delle organizzazioni complesse e della comunicazione, intesa nel più ampio significato, in particolare per quel che concerne la comunicazione organizzativa.
Nella mia lettera ho precisato che la costruzione di una “strategia” per salvaguardare l’Orso marsicano, dovrebbe coinvolgere tutti gli attori istituzionali, le associazioni e i cittadini. Una strategia che sia supportata dalla piena consapevolezza del problema, che abbia la capacità di focalizzare l’attenzione sui singoli dettagli, che sia altamente affidabile e in possesso della cultura della segnalazione; come si potrebbe definire nel gergo anglosassone una sorta di “mindfulness”. Certamente gli ostacoli da superare sono molteplici, soprattutto di carattere, organizzativo, politico e culturale; Stefano Orlandini lo precisa, quanto evoca le difficoltà di raccordo e di coordinamento con la Regione Abruzzo e persino la “latitanza” del Ministero dell’Ambiente. D’altronde non ci si può aspettare che un problema così complesso trovi soluzione solo con la semplice redazione e sottoscrizione del PATOM. I piani e i programmi servono per individuare obiettivi e per stabilire le azioni per il loro raggiungimento, ma la costruzione di una strategia è cosa ben diversa perché, come nel caso specifico, implica una cultura organizzativa che trova molteplici ostacoli nelle organizzazioni della pubblica amministrazione. D’altronde, nonostante le riforme avvicendatesi negli ultimi venti anni, tra cui il più recente decreto legislativo 150/2009, le organizzazioni della P.A. sono rimaste eccessivamente autoreferenziali, fortemente gerarchizzate, formalmente disponibili ma scarsamente dialoganti e collaborative. Quando parlo di organizzazioni della P.A. mi riferisco ai ministeri, alle regioni, alle province, i comuni, le agenzie di regolazione, le autorità di vigilanza, i corpi polizia, le ASL e, ovviamente, gli enti parco. Nelle relazioni tra queste istituzioni prevalgono ancora gli aspetti burocratici per cui, di fronte a un problema comune, ma complesso, spicca il disimpegno. A mo’ di esempio ricordo che nel 2004, per far fronte alle problematiche riguardanti gli accertamenti sanitari e al monitoraggio epidemiologico della fauna selvatica del PNALM, tramite il Servizio veterinario del parco, avviai una consultazione con gli uffici delle Regioni e delle ASL territorialmente competenti, alfine di pervenire alla sottoscrizione di un protocollo d’intesa e di linee guida comuni. Purtroppo, nonostante l’impegno della Direzione del Parco e la disponibilità di alcuni veterinari più sensibili al problema, il documento si impantanò nel suo iter conclusivo. Sembra che lo stesso Regolamento del Parco, adottato a più riprese dall’Ente PNALM, abbia subito la stessa sorte, inghiottito nelle paludi ministeriali, senza che nessuno “smuova le acque”. All’interno delle istituzioni pubbliche, prevalgono tuttora strutture organizzative gerarchiche e burocratizzate, dove le relazioni e la comunicazione interna sono ridotte a semplici dettagli amministrativi e sindacali, dove prevale l’attenzione sulla declaratoria delle mansioni (il cosiddetto mansionario). Nella mia lettera ho ricordato come sia stato un grave errore non comunicare, con la giusta evidenza, la dinamica e la causa dell’avvelenamento dei tre orsi nel settembre 2007; credo che nemmeno molti dipendenti del PNALM ne siano ancora pienamente consapevoli. Purtroppo, come sostiene Gary Hamel, uno dei maggiori esperti di management, “le gerarchie non sono in grado di mobilitare lo sforzo organizzativo, di ispirare le persone a fare molto di più e meglio”. Orbene, la salvaguardia dell’Orso marsicano è un problema quotidiano, reale, e complesso, che non può essere affrontata solo con programmi, comunicati stampa e disposizioni di servizio, o con uno scaricabarile, ma richiede la costruzione di una strategia fondata su una cultura organizzativa in grado di mobilitare le forze in campo, che sia riluttante alla semplificazione, che sia sensibile alle attività in corso sulle problematiche emergenti, che preveda una comunicazione interna credibile, coerente e saliente, che stabilisca intense e chiare relazioni tra tutti gli interlocutori istituzionali, le associazioni e i cittadini, che preveda una comunicazione efficace e ad alta capacità di penetrazione, che supporti campagne di comunicazione ad alto impatto di processo, ovvero capaci di modificare la percezione del problema da parte di molti. A conclusione di queste brevi riflessioni, ritengo che per sviluppare una strategia di successo per salvaguardare l’Orso marsicano dall’estinzione, sia necessaria, in particolare, una cultura organizzativa che sappia confrontarsi efficacemente con la complessità delle problematiche in campo.
…la proposta di Di Benedetto e’ certamente ragionevole ma evidentemente impraticabile visto il numero di Enti, Istituti ed autorita’ varie che sarebbero tenuti a coordinarsi ed a lavorare insieme……assolutamente IRREALISTICO pensare che tutto cio’ possa partorire qualcosa di concreto e positivo tenuto conto che il Parco (e non per sua colpa !!) non riesce ad accordarsi nemmeno con le autorita’ della sua regione di riferimento (Abruzzo) per spostare l’apertura della caccia di 15 gg in modo da non interferire con attivita’ vitali per l’orso !!
E il PATOM e’ un altro esempio di questa impossibilita’ad agire e della mancanza diuna vera autorita’ coordinatrice.
Per finire mi preme far presente che riguardo la situazione dell’orso e’ veramente deludente per non dire di peggio la totale latitanza del Ministero dell’Ambiente attuale….nel solco della tradizionale ignavia di quello di Matteoli e della Prestigiacomo….